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Il punto chiave dell'argomentazione dell'autrice è riposto, storicamente, nel passaggio, avvenuto dopo la seconda guerra mondiale con la fondazione dell'ONU, ad un ordine mondiale fondato su Dichiarazioni, Carte e Statuti che sanciscono diritti inviolabili per tutti i cittadini degli Stati firmatari. In sostanza, come effetto della globalizzazione, intesa in maniera non meramente economica, ma come estensione delle norme cosmopolitiche a livello planetario, gli individui diventano titolari di diritti inderogabili in qualunque paese vi si rechino. In questo contesto le questioni rilevanti per la sociologa sono tre: in primo luogo l'individuazione dei fondamenti ontologici per il diritto cosmopolitico, rintracciati non nel diritto naturale, ormai inaccettabile, bensì in una interessante concezione dinamica della storia, che richiede sempre la rimodulazione di significati e valori per costruire un nuovo ordine secolare fatto di iterazioni democratiche; in secondo luogo, il diritto cosmopolitico deve essere assunto e fatto proprio dagli Stati nazionali, i quali lo devono ratificare e renderlo esecutivo, un compito demandato agli enti sovranazionali, come l'ONU, il quale dovrebbe vigilare e talvolta intervenire in evidenti casi di violazione dei diritti umani; infine, il terzo punto riguarda il rapporto tra le forme politiche delle specifiche entità statali, con i loro rapporti di forza e le questioni relative alla legittimità democratica interna. Un testo denso di spunti di riflessione teorica, ma anche di soluzioni pratiche per dirimere i conflitti sociali generati dai meccanismi di esclusione.
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