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Scrive l'autore nell'introduzione: "Questo è un libro di storia, ma una storia che ha una precisa prospettiva: guardare dal basso, osservare le smisurate disuguaglianze sociali, in particolare delle classi subalterne", mendicanti, vagabondi, migranti, contadini, braccianti, operai. Il libro contempla il periodo che va dal Cinquecento ai giorni nostri. Ancora oggi, come cinquecento anni fa, le cause della povertà sono indicate con queste parole: "ozio, ignoranza, malattia, inabilità fisica o psichica. L'ozio è individuato come il principale responsabile della miseria. Con il termine ozio si intendeva sottolineare la responsabilità dell'individuo mentre si assolveva la società. L'ozio è una causa prettamente individuale: con una vena di moralismo si sottintende che povero è chi non vuole lavorare." Il libro ci racconta storie di rivolte, di individui ribelli, dell'identificazione del povero con il criminale e pertanto isolato, incarcerato, allontanato. Lo vediamo ancora oggi nella figura del migrante che fugge dalla fame e dalla guerra. Dimenticando che la migrazione ha riguardato noi italiani tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Un libro da leggere per la sua chiarezza e per la sua profondità, adatto in questo periodo di globalizzazione e di liberismo selvaggio, in cui disuguaglianze tremende vengono coperte "con il velo dell'ipocrisia o, ancor peggio, con la teoria dello sgocciolamento tanto cara ai liberisti convinti che i benefici per i ceti più abbienti favoriscano in modo automatico i poveri perché avrebbero degli effetti positivi sgocciolando su di loro. Uno che di poveri se ne intende, papa Francesco, ha criticato con chiarezza questa teoria. E non è il solo."
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