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Classici dietro le quinte di Giovanni Ragone (con Donatella Capaldi, Alessio Ceccherelli, Fabio Di Pietro, Emiliano Ilardi e Fabio Tarzia collaboratori) narra l'avventura editoriale di alcuni grandi classici della nostra letteratura, spaziando dal Quattrocento al Novecento, lungo quei cinque secoli in cui il libro stampato ha rivestito un ruolo cardinale nella circolazione e nella trasmissione del sapere. Rivolgendosi a lettori non specialisti, dunque optando, sin dalla veloce introduzione, per tono, taglio e impostazione squisitamente divulgativi, l'autore ricostruisce il backstage dei capolavori che hanno definito il canone letterario italiano, attraverso i meandri intricati e talora perigliosi della mediazione editoriale, e il contesto in cui maturano la loro pubblicazione e la loro fortuna. Ne risulta, più che un insieme organico, una serie di medaglioni di scorrevole e senz'altro affascinante lettura, non fosse che per l'esemplarità, la rinomanza e la trama avvincente dei casi prescelti, in cui la precisione e l'accuratezza nella verifica di nomi, dati e passaggi o la messa a fuoco di questioni complesse sono qualche volta sacrificate alle esigenze della sintesi e del racconto, frutto della ricognizione di una vasta bibliografia, non di ricerche di prima mano.
Il viaggio prende le mosse dal testo manoscritto della Commedia dantesca, orfano delle redazioni autografe, diffusosi in innumerevoli versioni fitte di errori e corruttele e poi "fissato" da Boccaccio, che autorevolmente ne forgia la tradizione facendolo assurgere al trono di primo classico italiano in volgare. Nella seconda metà del Quattrocento, le scelte delle molte tipografie sorte nella penisola all'indomani dell'introduzione della stampa, dopo l'intenso sfruttamento dei classici latini, si orientano verso la letteratura in volgare, attingendo in primis a Dante, presenza consueta nelle biblioteche delle classi elevate. Così nel 1472 escono tre, contemporanee ma indipendenti, edizioni del capolavoro dantesco; cinque anni dopo è la volta di altre edizioni, che penetrano nella cerchia delle corti, fra cui quella medicea, che rilancia la Commedia leggendola in chiave mistica e filosofica: ne sortirà la lussuosa e fortunata edizione fiorentina del 1481, con il commento di Cristoforo Landino.
Intanto anche il Canzoniere di Petrarca è stampato, per la prima volta a Venezia, allora capitale editoriale italiana, nel 1470, e poi altrove, divenendo il bestseller in volgare del periodo e confermando la sua clamorosa fortuna nel corso del Cinquecento, anche grazie alla geniale operazione di Aldo Manuzio, ispirata da Pietro Bembo, che dà alle stampe, tra i classici, anche Dante e Petrarca in edizioni dal formato ridotto, in nuovi caratteri corsivi e prive di commento, rivolte a un pubblico culturalmente elevato: è così che Petrarca diventa modello e prototipo, oltre che del gusto e della lingua della poesia in volgare, anche di un preciso standard editoriale. Parimenti diffuso tra Quattro e Cinquecento è il Morgante di Pulci, lanciato dalla fucina editoriale veneziana, allora impegnata nel genere del romanzo cavalleresco di cui, per vendere, si accentuano le tinte erotiche, e presto incluso nel novero dei classici quando il volgare fiorentino diventa la base dell'italiano letterario. Il libro di cavalleria, del resto, si impone come genere-chiave per la formazione di un mercato nazionale, quanto mai promettente per la particolare duttilità: lo dimostrano i casi dell'Inamoramento de Orlando del Boiardo e dell'Orlando furioso dell'Ariosto, i cui riscontri sono accortamente sfruttati dall'editoria del tempo. Operazione editoriale abile e azzeccata è anche quella di Pietro Aretino e Francesco Marcolini che, giunti a Venezia nel 1527, danno alle stampe i libri scandalosi del poligrafo fiorentino destinati a un largo consumo, almeno fino a quando la scure della Controriforma non giungerà a comprometterne il successo.
Si profila intanto la crisi dell'industria del libro, anche nei territori della Serenissima, mentre il clima si fa soffocante ed è sempre più forte la pressione della chiesa sulla produzione libraria. Si elaborano così nuove strategie, che individuano nel romanzo il genere su cui puntare. In tale congiuntura si colloca l'eroica vicenda di Ferrante Pallavicino, di cui esce a Venezia nel 1640 l'originale e provocatorio Corriero svaligiato, che, per le esplicite denunce alla volta del potere politico e religioso, costerà all'autore la detenzione, le torture e la morte, ma continuerà comunque a circolare in tutta Europa. Un secolo più tardi, il contesto politico e culturale è decisamente mutato, e sulla stessa scia il sistema editoriale: qui si inscrive il tentativo illuminista e riformista dell'intellettuale-editore veneziano Zaccaria Seriman, autore del romanzo filosofico I Viaggi di Enrico Wanton, che si infrange contro la frammentarietà del mercato, ancora immaturo per assorbire una produzione organica di libri di cultura.
Dalla Venezia ormai in decadenza si passa a centri più vivaci, quali Bologna e Milano, dove si consumano le tormentate, ancorché note, vicende redazionali ed editoriali dell'Ortis di Foscolo e dei Promessi sposi di Manzoni, alle prese con la strenua difesa del lavoro intellettuale e dell'integrità del prodotto artistico, in un'epoca che non a caso vede, al cospetto di un ampliamento significativo del mercato del libro, soprattutto del romanzo, l'affermazione del principio del diritto d'autore e i primi passi di una legislazione in materia.
Il Cuore di De Amicis ci conduce in uno scenario editoriale più familiare: su quell'autore e su quel libro, di cui per anni si annuncerà l'uscita imminente, si indirizzano le aspettative di Emilio Treves, imprenditore agguerrito e ostinato, deciso a costruire, tra catalogo e periodici, sulla scorta di una primigenia forma di marketing, un sistema di "grandi firme" atto a consolidare il mercato dei lettori. Un'altra appetitosa benché indocile conquista, dopo i primi controversi contatti, è D'Annunzio, che ingaggia con l'editore, contrattando su Il piacere, un'estenuante partita a suon di percentuali e compensi, imponendo il tipo di scrittore rampante, proiettato, attraverso molteplici modalità di autopromozione, verso l'acquisizione di un prestigioso status. Ma nell'agone editoriale dei primi vent'anni del Novecento trovano spazio anche progetti di cultura alta e militante, come quelli dei vociani e di Gobetti, portabandiera di una massa di giovani intellettuali in cerca di un impiego che non sia l'insegnamento, interessati, più che al romanzo ora in crisi, al mondo del giornalismo, divenuto la principale arena della comunicazione. L'avvento del regime soffocherà tali velleità, deformando il corso della storia dell'editoria italiana: vicenda emblematica è quella che riguarda un testo bello e pericoloso, l'antologia Americana ideata da Vittorini per Bompiani, che nel 1942 subisce il veto della censura, uscendo purgata delle note introduttive e aperta da una più "opportuna" presentazione di Emilio Cecchi.
Dopo aver ripercorso la sofferta gestazione della Cognizione del dolore di Gadda e le disavventure in cui incorre Ragazzi di vita di Pasolini, il volume si chiude con il romanzo metropolitano di Bianciardi La vita agra, uno sguardo desolato sullo scenario del "nuovo che avanza". Non si tratta di una scelta casuale, anzi è, come la definisce Ragone, una chiusura simbolica: siamo negli anni sessanta del secolo scorso, ormai al tramonto dell'età aurea della parola stampata.
Irene Piazzoni
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