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"Minari" è un’erba piccante coreana che diventa più rigogliosa nella sua seconda stagione di crescita. Come la seconda generazione, il regista, nato il 19 ottobre del 1978 in una piccola fattoria di Lincoln, Arizona, da genitori sudcoreani che tiene fede al titolo che ha scelto. Quante volte l’abbiamo già letta, già vista, già sentita questa storia? C’è molto, verrebbe da dire tutto, dentro la storia, di chi sfida l’ignoto per portare più avanti la frontiera e più vicino il sogno, C’è molto, verrebbe da dire tutto, nella narrazione che ricorda i modi di raccontare la famiglia di Hirokazu Kore-eda (Like Father, Like Son, sopra tutto), la tensione delle immagini di Hayao Miyazaki (La città incantata, sopra tutto) e la dialettica di coppia di John Cassavetes (Una moglie). Ma forse nel profondo a farci innamorare di "Minari" e che dietro le buone maniere, dietro la scelta di aguzzare lo sguardo anziché alzare la voce c'è un film, e un’idea di mondo e di arte, che non rinuncia al conflitto: dell’Uomo contro la Natura (e lo Stato), dell’Uomo con la Donna, dei Vecchi con il Futuro, e dei Giovani con il Passato. E che prima di trovare la sua acqua della salvezza si offre al fuoco purificatore, consapevole che non esista conforto senza contrasto, ripartenza senza terra bruciata, sintesi senza antitesi. Minari è un grande film, perché ha scelto di essere anziché sembrare, di costruire anziché operare una modifica parziale, Ha rischiato, insomma, di raccontare ancora una volta una storia che conoscevamo.
Questo non è un film per famiglie. Ci sono numerose parolacce e scene da evitare! Avevo acquistato il dvd per una «serata cinematografica» per la nostra famiglia, ma sono così felice di averlo visto prima che i bambini lo vedessero! Sono state 2 ore della mia vita sprecate. Che noia completa! Adoravo Parasite, ma questo film lascia un po' a desiderare. Da evitare
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