Gli strangolatori di Bombay

Tuttora assai godibile questo film in bianco e nero con budget limitato (il set del villaggio indiano è sempre il medesimo e così pure il tempio della dea Kalì, come in un teatro), ma con una vicenda ispirata alla realtà storica. L'eroe appare sempre un po' troppo sfortunato ed incompreso (salvo che dall'amorevole moglie) nell'affermare che l'aumento sempre più elevato di sparizioni e omicidi nella popolazione o tra le carovane sia dovuto ad una setta organizzata di "thughs" e non a sporadiche azioni banditesche. Il suo comandate gli preferisce un ufficiale dandy, alquanto incredulo sulla teoria della setta, nell'avviare una possibile indagine. Tanto questa prima parte, quanto il finale, nonostante le suddette ed ulteriori ingenuità, consentono tuttavia un immersione nel fascinoso mondo della "giungla nera" con una trama densa e avventurosa. Meritevole, in particolare, la lunga scena di lotta tra un cobra dagli occhiali - che dovrebbe finire un prigioniero legato ed insanguinato davanti alla statua di Kalì - contro una mangusta: sebbene tale duello sia un classico già descritto letterariamente da Kipling ed altri, la sequenza visiva resta assai efficace ancora oggi - nell'era degli effetti speciali al computer - proprio per la sua naturalezza.

Il cinema di Terence Fisher, l'horror che rilassa. Cura per i dettagli e sceneggiatura fluidissima, sempre.