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Giuseppe Flavio, in un periodo nel quale le forze esterne minacciavano la totale distruzione del monoteismo ebraico, ha perseguito con lucidità il fine della sua conservazione al prezzo di compromessi con il mondo vincente alessandrino/romano.
Il libro si può inquadrare sotto varie angolazioni: 1) una glorificazione della dinastia Flavia in particolare Vespasiano e Tito ma non manca lodi pure a Domiziano, in questo Giuseppe ci riesce benissimo, anche perché per una sua fortuna, aveva profetizzato a Vespasiano che sarebbe diventato imperatore e come ben sappiamo i romani su queste cose erano molto attenti; 2) un insegnamento sul carattere caparbio del popolo ebraico, il libro che parte da lontano ossia dalla fine dei Maccabei, il passaggio attraverso Erode il Grande (a cui è dedicato l'intero libro I [che si deve intedere come capitolo]) e quindi alla difficile successione e suddivisione del territorio palestinese, si prosegue alla continua guerriglia degli ebrei verso i romani, incapaci di avere anche solo un rapporto di sudditanza che probabilmente avrebbe salvato la distruzione di Gerusalemme e della guerra civile la cui concomitanza con la battaglia con l'impero romano portò alla diaspora; 3) il popolo ebraico così orgoglioso per essere popolo di dio (sempre scritto in questa versione in minuscolo) ma anche così umano in cui le persone che guidano i ribelli sono assetate di potere; 4)un apologia di se stesso, in quanto Giuseppe era uno dei capi ribelli da molti considerato un traditore della causa ebraica. Nel complesso un buon libro che deve essere letto accompagnato da altri libri che mostrino meglio la visione storico-geografica complessiva dell'epoca.
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