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Anno edizione: 2013
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un bel libro per chi apprezza il mondo cavalleresco e la saga di re Artù, può risultare noioso a causa dei ripetuti duelli descritti ed è proprio per questo che lo consiglio solo ad un vero appassionato. Inerente a questo genere (dello stesso editore) consiglio i romanzi di Chrétien de Troyes
Molto bello!!!! Un pò lento sulle troppe battaglie dei cavalieri...
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Oldoni, M., L'Indice 1986, n. 3
"Allo scopo di rendere scorrevole e avvincente l'immensa opera, abbiamo costruito il testo come un unico romanzo seguendo l'edizione di Caxton ma spingendoci oltre nella concatenazione degli episodi, nella titolazione, nell'eliminazione per quanto possibile delle incongruenze e delle ripetizioni, nel taglio dei 'rami secchi'. In particolare, nel "Libro di ser Tristano di Liones", che tra tutti è il più caotico e sciatto, abbiamo sfrondato l'eccesso di scontri e di duelli che nell'originale si succedono l'uno all'altro con un ritmo ossessivo e spesso insensato, e abbiamo cercato di dare ordine anticipando o posticipando episodi che apparivano fuori posto e spezzavano, fino a renderla inintelligibile, la continuità del racconto" (pp. XXVI-XXVII).
Il Caxton citato all'inizio di questo passo è il primo editore delle opere di sir Thomas Malory e nel 1485 testimonia il proposito di stampare un volume sulle nobili imprese di re Artù e di alcuni suoi cavalieri "sulla base di una copia che pervenne tra le mie mani e che sir Thomas Malory trasse da certi libri francesi" (p. XIII). Nel 1469, nono anno del regno di Edoardo IV, il cavaliere Thomas Malory chiude la sua "Storia di re Artù e dei suoi cavalieri", catena narrativa di gesta del re Artù e del suo entourage fabbricata per perpetuare e rinnovare il materiale dell'epica cortese di Francia contaminandolo con parallele tradizioni orali sparsa provenienza. E se l'intento perseguito da Caxton nasce dall'esigenza di contribuire all'enigma circa la reale storicità del personaggio di Artù, altro sembra essere l'obiettivo di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, curatrici d'una "Storia di re Artù e dei suoi cavalieri" che con il medesimo titolo mettono insieme una edizione dell'opera ispirata dai propositi espressi dalla citazione d'inizio. Così, fra eliminazione di presunti narrativi "rami secchi", taglio e rimescolamento di episodi, nasce questo improbabile Thomas Malory, pericolosamente condensato e rivisto. Le curatrici giustificano il loro metodo di lavoro ricordando che "quanti vogliono leggere Malory in versione integrale e letterale", possono rifarsi all'unica precedente traduzione italiana del 1958 (circa trent'anni fa: praticamente in-tutte-le-librerie!) curata dal Pettoello (Einaudi, Torino). Questo vuol dire proporre due chiavi d'approccio per il Malory degli Oscar Classici, eliminato qualsiasi ingresso agli studiosi, certo dissuasi dalla particolarità del metodo, resta prima da verificare il pubblico d'una siffatta operazione, poi l'interesse del procedimento con relativo risultato.
Già da qualche anno il binomio Agrati-Magini coincide con la circolazione della letteratura dei cicli cortesi dell'epica romanza medievale promossa attraverso una serie di edizioni negli Oscar Classici Mondadori. Così abbiamo visto passare "I romanzi della Tavola Rotonda" (1981), " I racconti gallesi del Mabinogion " (1982), "La saga irlandese di Cu Chulainn" (1982), i cinque romanzi di Chrétien Troyes, "Lancillotto, Cligès, Erec e Enide, Ivano, Perceval" (1983). Il favore che hanno incontrato queste iniziative sta soprattutto nella sostanziale inaccessibilità di questi titoli, talvolta perduti in edizioni più impegnative e meno fruibili (Einaudi, Sansoni, Guanda, Franco Maria Ricci), talvolta riservati all'esclusivo settore degli studiosi. In linea con il generale consenso incontrato dall'editoria italiana presso il pubblico è nata, dunque, l'ipotesi medievale degli Oscar, affiancando l'altra non meno rilevante della Bur di Rizzoli, ed è nato il superlavoro del binomio Agrati-Magini. Anche questo Malory è organizzato secondo intenti diffusivi, e, tralasciando la struttura che si è voluta dare all'opera, vale qui apprezzarne il progetto complessivo: una "Introduzione", una "Nota bibliografica", una "Bibliografa della materia di Bretagna o arturiana" , una "Nota alla traduzione", il testo e, infine, un elenco alfabetico dei personaggi con relativa identificazione e ruolo nel racconto. Due volumi per un totale di XXVII e 732 pagine. A tutti coloro che hanno interesse per i materiali arturiani e, più generalmente, per i cicli romanzeschi di Bretagna, questo Malory dirà certamente qualcosa. E forse ne sarà incuriosito anche un lettore soltanto disposto a chiarirsi le idee su re Artù e al quale non serva capire perché Mario Praz abbia detto che l'opera di Thomas Malory 1/2rappresenta la transizione dal romanzo medievale al romanzo modernoÈ. E se nelle scuole superiori italiane ci si sognasse almeno di ricordare agli studenti la grandezza della cultura medievale e fosse addirittura dedicato più spazio a questi nove secoli di mezzo, sui quali antologie e preparazione dei docenti sono in gravissimo debito, allora direi che lo sforzo editoriale degli Oscar potrebbe qui trovare ideali applicazioni.
L'altra grande fascia di applicabilità di questi testi si situa, a livello favolistico, presso bambini e adolescenti fino a 14 anni. Qui, tuttavia, tocchiamo questioni precise di rapporto tra libro-e-lettore che, nel caso dell'opera di Malory, resta complicato, pur con gli accomodamenti e gli sfoltimenti operati dalle curatrici. La materia riguardante il ciclo di Artù, e quello di Malory in particolare, non è così coinvolgente e organizzata com'è nel caso di Chrétien de Troyes. In Malory i protagonisti non sono soltanto i cavalieri e le loro imprese, n‚ la presenza dei riti e del simbolo consente un progressivo incontro con lo svolgersi della favola che tocca il vertice emotivo nel ritrovamento del Graal e nell'incontro con il Re Pescatore. In Malory l'andamento narrativo a cicli paralleli e contigui chiama di necessità la presenza d'un "filtro" che renda più facile l'approccio all'opera, e se questo "filtro" è rappresentato, per il lettore medio, dal grande lavoro di ristrutturazione compiuto dalla Agrati e dalla Magini, per un lettore appena adolescente ci troviamo del tutto sprovvisti di chiavi d'accostamento. D'altra parte non va dimenticato come il cosiddetto "favoloso mondo" dei cavalieri medievali non sempre sia di facile trasmissione ai codici dell'immaginario del fanciullo; questo perché esiste una presenza di elementi simbolici morali (l'onore, la promessa, la prova del coraggio, la fraternità e la fratellanza, l'attesa) e di elementi simbolici rituali (l'obbedienza, la missione la promessa d'amore, il torneo, il castello, la pazzia) che sono i veri meccanismi dinamici dell'azione, all'interno della quale i personaggi rispettano un gioco delle parti prestabilito; questi elementi sono tutti basati su concetti astratti, estremamente aristocratici, com'è aristocratica tutta questa letteratura, e di difficile trasmettibilità ad un fanciullo più sensibile, invece, alla ricchezza degli intrecci. Ma gli intrecci dei materiali arturiani e brétoni sono più spesso ripetitivi che evolutivi, così bastano poche favole estratte dall'immenso laboratorio romanzesco di questi temi ad esaurire i caratteri di favola e sorpresa essenziali a catturare l'attenzione d'un pubblico così potenzialmente disponibile, ma tanto difficile se affrontato senza schemi. Si spiega, allora, la scarsa diffusione della favola medievale presso il "pubblico senza favola" dei fanciulli e, al contrario, il grande successo presso il "pubblico con favola" degli adulti. Il primo, pronto a recepire qualsiasi dinamica innovatrice e creativa di racconto, si stanca alla ciclicità delle avventure dei cavalieri; il secondo, alle prese con problemi autobiografici di rimozione di favole antiche, dimostra nuovo interesse per il mondo medievale dove l'intreccio è, come detto, legato a simboli e riti. Soltanto un esperto 1/2filtroÈ potrebbe far passare nel fanciullo l'interesse per questi cicli narrativi, ma questo, allora, in contrasto con la più moderna delle pedagogie dell'apprendimento in cui si chiede che sia il fanciullo o l'appena adolescente a sezionare e interpretare il racconto: ora, nel mare di Thomas Malory, pur ridotto a vastissima lacuna dalle curatrici, non credo sia facile entrare per un lettore di giovanissima età.
Secondo punto di queste nostre riflessioni intorno al re Artù di Malory è quanto spazio critico vi sia per un procedimento che, ai fini di prendere il lettore, rivede le interne componenti dell'opera. È vero: la "Storia" di Malory è talvolta scomposta, incoerente, lunga, fatta di fratture compositive e chi ne conosca l'edizione ottima datane prima nel 1947, poi rinnovata nel 1967 (Oxford, 3 voll.) da Eugène Vinaver non può non riconoscere, anche attraverso la qualità dell'apparato critico dello stesso Vinaver, quali problemi di sovrapposizioni e ordine narrativo essa proponga. Ma è la "Storia" di Malory... Questa, organizzata dalla Agrati e dalla Magini, cos'è? Perché riordinare una materia che non è mai ordinata perché non ordinata nacque nelle teste degli scrittori che la diffusero? E perché dare sviluppo armonico ad un tessuto narrativo che armonico non fu mai perché incrocio di fonti e reminiscenze, di ambienti o testimoni che, nell'utopia del mondo dei giusti cavalieri di Artù, risanavano le loro maledizioni e le umiliazioni delle loro utopie fallite? E perché togliere "rami secchi" (brutta immagine, datata e umiliante per una letteratura medievale così piena di boschi e foreste!) ad una situazione creativa che, da Chrétien de Troyes fino a Thomas Malory ha sempre avuto slanci e ritorni, accelerazioni e lentezze, nitori e confusioni, gemme e rami secchi? Il Medioevo è fatto di queste cose e toglierle vuol dire rifare il Medioevo a proprio modo, e questa è un'operazione inutile. Talvolta dannosa perché fuorviante. Soltanto nel nome d'una precisa e calibrata ricerca di mercato, e in una società di lettori forse più fitta, questo resta un proposito di qualche interesse. Ma se questo Thomas Malory non raggiungerà le centomila copie vendute, allora dovremo chiederci perché non riproporre l'opera com'è? La bellezza di certe incoerenze, il fascino di certe interruzioni o ripetizioni, il vago di certi smarrimenti narrativi sono i segni d'un mondo e d'un modo d'essere, l'ordine che si vuol dare a tutto questo, invece, è la moderna e sapientissima paura di non capirci nulla. E far così, dicendolo al lettore, è dirgli la intima convinzione che egli nulla avrebbe capito.
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