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Letto il libro, la prima cosa che mi è venuta in mente riguardava il paradosso di una vita borghese all'interno di uno stato nella cui prassi di governo rientra l'impiego del terrorismo sulla popolazione civile. Chi ha letto 1984 avrà senz'altro capito di cosa sto parlando. Due realtà parallele scorrono vicine: da un lato lo stato borghese e rigidamente diviso per caste della Germania di allora con la presentabilità sociale ed il perbenismo protestante, dall'altra l'abisso senza fondo della violenza di stato esercitato contro i diversi di ogni genere dallo stato totalitario. Che poi anche qui è totalitario verso l'esterno, restando al suo interno gravemente malfunzionante proprio per la policraticità delle sue componenti e la sovrapposizione delle competenze. Basti pensare al fatto che è il ministro degli armamenti, l'autore del libro, a dirci che la Germania guglielmina era stata più efficiente nella produzione bellica rispetto all'apparentemente monolitico e super tecnologico stato hitleriano. Speer, sognando grandiose architetture insieme ad Hitler, attraversa nel tempo e nei luoghi la Germania nazista senza accorgersi, sono parole sue, di vivere e lavorare in mezzo a degli assassini. L'autore non ricorda discorsi del fuherer particolarmente aggressivi verso gli ebrei sembrandogli l'odio verso questi ultimi, del tutto naturale. Decisamente, comunque, va detto che l'autore non cerca assolutamente di sottrarsi alle proprie responsabilità assumendosele in pieno. Questo sarà poi l'atteggiamento di Speer anche davanti al tribunale dei vincitori, a Norimberga, dove, come è noto, l'architetto del Reich sfuggirà alla pena capitale, forse ingiustamente viste le innegabili responsabilità ed il trattamento riservato dalla corte al collega Sauckel. Un libro da leggere dunque per farsi accompagnare per mano in un viaggio allucinante (ma qui, purtroppo, la fantascienza c'entra poco) nello stato nazionalsocialista, dove era facile divenire buoni cittadini nazisti.
Notevolissima autobiografia, che in quanto tale va presa con la riserva di esporre un punto di vista (quello dell'autore) che andrebbe bilanciato da una visione terza. anyway, offre una visione del nazismo assolutamente innovativa, fatta da omuncoli di basso spessore culturale, impegnati in misere lotte di potere per ingraziarsi i favori di un leader che non appare nemmeno particolarmente dotato di carisma e leadership. un forte insegnamento quindi: il male, anche quello assoluto, si annida tra noi e ha le sembianze dei piccoli uomini che non fanno altro che ripetere azioni e coazioni senza farsi troppe domande, asserviti ad un singolo in quel momento all'auge. L'argomento è già stato trattato dalla Arendt nel processo di Eichmann, ma qui colpisce la piccolezza del contesto, in cui Speer si autodipinge e appare come un gigante intellettuale. L'autore è da una parte franco fino alla confessione, da altri punti di vista reticente (i lager sono menzionati per la prima volta a pagina 448 e poi trattati molto superfcialmente). Manca totalmente l'analisi della dicotomia morale tra gerarca nazista e padre di 6 figli (moglie e figli non sono quasi mai citati). Infine, la trattazione del processo di Norimberga è veloce e lascia più domande che risposte. Memorabili i tratteggi di personaggi come Goring, Bormann, Goebbels, maschere eterne delle debolezze umane ai confini col potere assoluto. In sintesi, libro da leggere e da consigliare.
Scritto assai interessante. La testimonianza di un alto borghese nel Terzo Reich. Come compendio cosiglio biografia di Fest e i Diari di Spandau, dello stesso Speer. Una personalità per nulla fanatica o mistificatrice: Albert Speer è l'esatto contrario di Eichmann, anche se il suo ruolo fu di enorme importanza, in particolar modo dal '42. Comunque il libro si legge d'un fiato, non annoia mai e ha il pregio di essere scritto dall'"interno".
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