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Seguo la linea indecisa degli alberi, dove aerei i piccioni batton l'ali: tu, carezzata dove nascono i capelli... Ma sotto le dita s'apre la distanza, si spezza come paglia il dolce sole.
La fiducia suscitata nel lettore, Philippe Jaccottet la deve forse alla regola che impone a se stesso e che lo obbliga a rendersi garante di ogni parola scritta: si tiene lontano dall’eccesso, la solennità, la magniloquenza; diffida delle immagini troppo smaglianti; aborrisce la gratuità. Il peccato piú grande, per lui, sarebbe quello di non poter convalidare la propria poesia a ogni piè sospinto attraverso i gesti della vita, le sfumature autentiche del mondo percepito, le certezze (quel poco di certezza) del pensiero. […] Philippe Jaccottet dice sempre solo quel che crede di «poter» dire. E proprio qui risiede il fondamento etico della sua poesia: Jaccottet non ritiene che la verità sia una parola vana, né che il tentativo d’alleare il vero alla parola poetica in un patto indissolubile sia illusorio. La poesia di Jaccottet trae la sua forza non tanto dall’energia improvvisatrice, né tantomeno dall’ingegnosità combinatoria, quanto da una costante esigenza di verità. Dal saggio di Jean Starobinski
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Qui tentano brogliacci passabili di sillabe queste colpevoli righe malferme, nel ricordo di un poeta scomparso da un mese e di cui lo scrivente niente sapeva. Quasi un secolo sulle sue nobili scapole, l'eleganza d'un Atlante rugoso che non cede al passo del moderno, giacchè una voce autentica è esperienza fidata, sia pur dentro boscaglie seducenti ma rare nei veri germogli. Ho in mente come una retta costante nel mio interiore percorso di curioso la poesia Lettera, contenuta in questa raccolta. Basta forse ad incidersi in questa dedica e nel viaggio del Maestro come un commosso anello fra le mie stoltezze e il suo canto, avaro fronte fra lettore e autore dove chi resta si trova a sorseggiare, nel bicchiere del ricordo, gocce di quel resistere soave che solo la poesia riesce a comporre nel brullo distillato del fare, dell'agire: "...noi fummo uccelli che si sfiorano, / frecce verso la luce, che s’inseguono / gridando sempre piú in alto, fino all’estasi, / sorella dell’effimero". Ci dovremmo pensare orfani senza cartine al di là e al di qua della scomparsa di un poeta, comici illusi del loro percorso più scelto, strada scansata da passi rumorosi. Ma il terreno sa sentirla la suola, conosce lo sforzo e il solfeggio di caratteri altri, la nebbia nel costato corteggiata da un raggio sincero, ispirato: "...io, ero troppo spesso un fanciullo distratto,/ viaggiavo e poi invecchiavo, abbandonandoti, / e quando risalimmo su verso l’alba cruda, / era uno spettro che tu guidavi di strada in strada, / là dove il canto del gallo mai piú l’avrebbe raggiunto". Sempre sul dorso degli stessi versi, come naviga nel mare della mancanza chi resta con un timone giocattolo fra le dita e deve pur dirsi "prosegui". Lugubre porta verso un qualcosa, un senso d'altrove forse, o una migliore risposta di silenzio. E il tutto sotto l'offesa dell'andarsene, sia pur ai bordi di un destino vegliardo. Merci Philippe.
Jaccottet è autore svizzero di nascita e formazione, francese di adozione e, potremmo dire, di vocazione. Ha condotto in Provenza una vita schiva, dedita alla riflessione e alla produzione letteraria, scegliendo una via "moderata" e "dignitosa" di approccio alla poesia, snobbando da un lato sia l'impegno ideologico e lo sperimentalismo formale più azzardato, dall'altro contestando nei fatti il rimbaudiano "sregolamento dei sensi", che tende a riflettersi esteticamente nella rottura totale con la tradizione. "Temevo soprattutto le formule categoriche, i rifiuti assoluti o le affermazioni perentorie, perché mi pareva che l'uomo che alza la voce o che picchia il pugno sul tavolo lo fa spesso meno per reale convinzione che per coprire il rumore dei suoi dubbi". A questa sobrietà, essenzialità esistenziale, Jaccottet è rimasto coerentemente fedele anche nella scrittura; la poesia è lettura esatta, decifrazione puntuale delle cose, non paludata da espedienti formali che depistino il lettore distraendolo dal suo fine ultimo: che è quello di cogliere barlumi di verità, di approssimazione alla luce. "Non è appunto questo il lavoro che il poeta effettua sulle parole? Da opache, come gli furono date, si ostina a rendere loro la trasparenza, a renderci la felicità...Forse bisognerà ridursi a una posizione più modesta, a una via di mezzo: la poesia che illumina la vita come una nevicata, ed è già molto aver conservato gli occhi per vederla..." Dov'è dunque la peculiarità, ma anche la modernità di questa voce poetica? E' nella sua limpidezza assoluta, nella sua cristallina musicalità. Ma anche nella sua sapienza tranquilla, sicura e rassicurante, di una risposta che si intuisce al di là del mistero, della parola-viatico che ci accompagni, aiutandoci a passare "senza paura e senza rimpianti la soglia di quell'oscuro spazio che ci attende per inghiottirci o per cambiarci."
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