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Pulp. La letteratura nell'era della simultaneità - Marino Sinibaldi - copertina
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Pulp. La letteratura nell'era della simultaneità - Marino Sinibaldi - copertina
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Descrizione


Il fenomeno della cosiddetta «letteratura pulp», cioè di una nuova scrittura e nuovi autori che prediligono tematiche e stili di narrazione vicini a quelli di molto cinema contemporaneo, è rivelatore di profonde trasformazioni nel ruolo della letteratura e nelle attese dei suoi lettori. E dunque al di là delle definizioni e delle etichette (pulp, postmodern eccetera) e perfino al di là del valore strettamente letterario di questi testi, c'è la possibilità di cogliere un mutamento in corso che è legato a radicali innovazioni tecnologiche e a nuove tensioni culturali, e che investe i modelli di percezione, di fruizione e di ricezione dei testi. Soprattutto nelle fasce più giovani di lettori, essi appaiono contraddistinti da due elementi, la velocità e l'orizzontalità, che sembrano mettere in crisi la funzione tradizionale della letteratura.Diversamente dalle euforie di chi vede in questo orizzonte la terra promessa di una nuova creatività e dai catastrofismi di chi attribuisce alla letteratura ormai solo lo spazio nobile ma residuo di una pratica postuma, questo breve libro propone una possibilità diversa: che la letteratura mantenga la sua centralità culturale non rinunciando a nessuna delle sue potenzialità. E dunque reagisca alle trasformazioni tecniche e culturali che già altre volte ne hanno messo in discussione il ruolo, dimostrandosi capace non solo di riproporre l'altezza e la specificità del proprio inconfondibile linguaggio ma anche di interloquire coi propri tempi, con le tensioni e le generazioni nuove che ha di fronte.

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Dettagli

1997
96 p.
9788879893084

Valutazioni e recensioni

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Eleonora
Recensioni: 1/5

C'è tanta presunzione e poca sostanza in questo libro.

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Cully
Recensioni: 1/5

Tanta presunzione e poca conoscenza, se non indiretta, di quello cui si accenna. Attenzione!

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pino
Recensioni: 1/5

Un libretto...

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di De Federicis, L., L'Indice 1997, n. 3

Citando Manganelli, e un suo celebre ossimoro, potrei dire che questo è un libriccino sterminato, nel quale bisogna leggere anche sotto le righe. Indugiare senza fretta nelle complicazioni che la riassuntiva e stringente brevità di Sinibaldi racchiude. Sono nove capitoli, con giri di pensieri cresciuti durante la discussione degli ultimi anni, e con un filo conduttore. I primi due ripercorrono i dibattiti di fine secolo su moderno e postmoderno, continuità e discontinuità, e sul mutamento dei sistemi culturali e delle stesse modalità percettive, caratterizzate oggi peculiarmente da "velocità" e "orizzontalità". Sarà vita o morte per la letteratura? Sinibaldi problematizza, per passar oltre, la dicotomia fra "apocalittici o entusiasti". È chiaro che vuole soprattutto affrancarsi dagli apocalittici (la tradizione nobile del pensiero critico). Ma evita saggiamente di scandagliare irrisolte questioni teoriche e terminologiche, prendendosi grande libertà grazie a un uso allargato e non valutativo dell'idea di letteratura, "quella trama di creazione, circolazione, ricezione e interpretazione di libri e testi che chiamiamo, convenzionalmente, letteratura".
Il terzo capitolo introduce alla rassegna dell'universo narrativo contemporaneo - la parte giudicante del libro - ed è dedicato a due maestri, più amati dal pubblico che dalla critica, Stefano Benni e Daniel Pennac, maestri di ritmo veloce e di simultanee ricche mescolanze, animati però da un mite umanesimo e da un'esplicita politicità che li distinguono dal nichilismo del "pulp". Entriamo nel vivo del "pulp" con il quarto capitolo: significato della parola e sua derivazione, valori esemplari del film eponimo di Quentin Tarantino, difficoltà interpretative della critica quando insiste a utilizzare il concetto di avanguardia, anacronistico oggi "nel pluralismo senza centro e senza egemonie", e difficoltà degli scrittori quando credono di potersi affidare soltanto all'enfasi di presunte trasgressioni (un esempio nel romanzo di Giuseppe Caliceti, "Fonderia Italghisa"). Dal quinto all'ottavo capitolo si dispiega lo scenario attuale dei vari modi in cui la letteratura reagisce al cambiamento: o perdendosi nei vicoli ciechi di una subalternità totale, di un appiattimento cronachistico, e viceversa dell'esangue prosa d'arte (vedi la rivista "Il semplice"); o tentando con risultati alterni un nuovo rapporto fra realtà e narrazione (vedi i racconti-reportage di Bettin, Deaglio, Veronesi). O infine rimodellandosi (velocità, orizzontalità) ed esibendosi nel radicale rimescolamento del "pulp" e del finto "orrore estremo" di Niccolò Ammaniti e Aldo Nove, e della "Gioventù cannibale" e delle figure contigue, Tiziano Scarpa, Enrico Brizzi, Isabella Santacroce. Il capitolo conclusivo elenca le altre presenze che riempiono il territorio della narrativa, e le distribuisce su due versanti, secondo il rapporto che hanno "con i nuovi linguaggi e con le nuove sensibilità". Sono due raggruppamenti fitti di nomi da citare, fra i quali qui mi limito a Mozzi, Di Lascia, Cotroneo per il primo - dove sono raccolti gli scrittori che lavorano delimitando lo specifico letterario -; e a Ballestra, Culicchia, Nesi per il secondo - dove stanno quelli che tendono invece a farsi avventurosamente onnivori. Ma la classificazione è precaria, e Sinibaldi lo sa e lo dice.
Molti gli autori. E naturalmente esposti alla controversia, e talora scandalosi, i giudizi, fra i quali spiccano le argomentazioni a favore di Ammaniti, di Scarpa e soprattutto di Nove. "Mercificazione totale della vita e dell'immaginario": ecco il tema profondo di Nove. Nell'universo mercificato appaiono immersi sia i personaggi sia "lo scrittore che li osserva": ecco l'ambiguità di Nove. S'incontrano di continuo tali tratti pungenti, che arrivano al cuore di un libro e lo collegano alle altre cose del mondo, e ne colgono le contraddittorie dinamiche (del libro e del mondo). Assieme a Sinibaldi vorrei discutere non tanto i singoli giudizi, con i quali ho il piacere di consentire spesso; quanto certi suoi enunciati generali che scuotono opinioni radicate e forse pigre. Per esempio. Sarà vero che è scomparsa l'odiosa medietà, una tipica ossessione intellettuale? Sarà vero che il pluralismo senza centro e senza egemonie ha eliminato "quel centro ideale fatto di lingua media, valori medi, prodotti medi"? Possiamo smettere di preoccuparci del "midcult"? E l'omologazione, se avviene, dove avviene? Sarà vero che semmai lingua media è quella cannibale? (Tesi trascinante, come quando Tommaso Labranca sostiene che il "trash" è Zavoli).
La scommessa della letteratura non è di sopravvivere in quanto postuma (e si spera che riesca comunque a farlo), ma di saper rinascere all'altezza del cambiamento. La scommessa di Sinibaldi (rivolta a maestri e amici, lettori, critici, tutti chiamati in causa) è che il cambiamento non sia imbarbarimento. Trovo, nascosta nel capitolo sui rischi dei "vicoli ciechi", una bella formulazione di quel che la letteratura dovrebbe ancora essere: un linguaggio capace di avere contatti "con la vita e la realtà davvero vissuta", di aggiungere "qualcosa di decisivo" all'esperienza. Sinibaldi ha un'immagine forte del libro e a questa resta fedele, cercando un nucleo di sommersa eticità nei libri che lo attirano.

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