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Anno edizione: 2020
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Circa un centinaio di poesie unite tutte dalla caratteristica di essere state scritte tra il 1968 e il '69, quando Ritsos era stato relegato dai colonnelli in domicilio coatto a Samo. Sono poesie uscite clandestinamente dalla Grecia, la cui diffusione in patria è stata ostacolata per anni, evidentemente perché considerate pericolose: e la loro pericolosità non è tanto in un messaggio politico esplicito (infatti il dato oggettivo, reale,appare mediato da quello poetico), quanto nell'ossessività di certe visioni e fantasmi che traducono in immagini il peso della dittatura, e quanto nella potenzialità liberatoria (rivoluzionaria) di certe memorie e fantasie. "Pietre" è la prima sezione: potrebbe significare squallore, degradazione, aridità. Sono poesie che rendono un'atmosfera da incubo, animata da figure oscure e spaventose, piombata da un silenzio solo a volte interrotto da frasi assurde, incomprensibili: questa parte è quella in cui più concretamente si avverte l'incombere del potere tirannico da un lato e l'impotenza dell'individuo tenuto in isolamento dall'altro. "Ripetizioni" consiste in un sofferto ritorno al mito e alla tradizione dell'antica cultura greca, in una rilettura del passato fattosi strumento per interpretare e comprendere il presente: Achille Ercole Penelope Apollo parlano tutti attraverso Ritsos parole nuove. Infine "Sbarre" è la sezione che chiude il libro, e che raccoglie le poesie più pregne della realtà da cui nascono: quindi poesie di prigione, che narrano perquisizioni, isolamento, celle, morti, evasioni ma senza ricorrere a simboli o a metafore, oppure ricorrendovi in maniera talmente scoperta che a chi legge non è difficile intuire il significato nascosto."Il crocevia": "Molte volte devia, ingannato di nuovo/ da lunghe colonne al sole e dalle loro ombre lunghe il doppio,/ da vele triangolari sul mare, ingrandite/ nell'infinita trasparenza. E, d'improvviso, il botto/di una briciola che cade sul pavimento o lo spago/appeso alle sbarre..."
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