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Nel 1970 George V. Higgins, all’epoca Assistente Procuratore, scrive “Gli amici di Eddie Coyle”, primo capitolo della sua saga che dipinge lo squallore della “bassa malavita” irlandese di Boston. Lo stile peculiare, la totale assenza di illusioni salvifiche, il rifiuto del lieto fine, ne fanno un successo e nel 1973 il libro diventa un ottimo film inglese, sostenuto da uno strepitoso Robert Mitchum. Nello stesso anno Mondadori lo pubblica con la traduzione della grande Laura Grimaldi, nel 2005 il libro viene ristampato e ritradotto da Einaudi, ma oggi sembra introvabile. Nel 1974 Higgins pubblica “Cogan” (“Cogan’s trade”), che prima di diventare un film dovrà aspettare il 2012 (ma ehi, ci sarà Brad Pitt!). Anche questo, come l’opera precedente, è potente, cattivo, essenziale, stilisticamente secco, come nelle opere del coevo Elmore Leonard (suo grande estimatore) Higgins non lascia spazio alle descrizioni, tutto è centrato sui dialoghi e su brevi momenti di azione, la maggior parte delle cose avvengono “prima” e ne veniamo a conoscenza solo seguendo attentamente le conversazioni tra i protagonisti. Il linguaggio è vitale, crudo, realistico, direi “quotidiano all’estremo”, senza enfasi emotiva e rende benissimo la confusione, la mancanza di prospettiva, la miseria morale dei personaggi, squallidi criminali impegnati a trovare qualsiasi modo per “campare la vita” e raramente sfiorati dal pensiero di poter essere qualcos’altro che malviventi. Una fauna sociale che si muove in un mondo in cui tutti conoscono tutti, tutti tradiscono tutti e non conta davvero “cosa fai” ma “cosa ne pensano” gli altri. Il tutto (in questo dimostrando “l’età del libro”) in 200 stringate pagine che si leggono in una giornata. Bello, molto bello.
Illeggibile; soldi buttati via.
gradevolissimo, tuttavia inferiore al più breve "gli amici di Eddie Coyle"
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