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Il libro e' molto interessante e cavalca un argomento che sta progressivamente guadagnando spazio sui media: le esperienze di filiera corta. Io non ne sapevo nulla e ho ovviamente apprezzato un contributo fruibile e interessante sulla materia. Ho finalmente capito che filiera corta non significa solo disintermediazione, ma anche rispetto per alcuni fattori "locali" della produzione: ambiente, biodiversita', produttore. Per me che vivo e lavoro in uno snodo di globalizzazione dove trovo limiti, ma anche vantaggi, ho trovato corretto che non ci si sia concentrati a studiare queste esperienze esclusivamente come un'alternativa che rimpiazzasse completamente il modello della Grande Distribuzione..un modello che non mi fa impazzire, ma che risponde a parecchie esigenze del consumatore moderno. Il mondo globale è cresciuto, è aumentata la ricchezza, l'alfabetizzazione, la democrazia e l'accesso alle informazioni. E' dunque un modello da rivedere nelle sue distorsioni, ma, a mio parere, ancora molto efficace. Fatte queste premesse, che chiariscono un pò la mia posizione, ho molto apprezzato il fatto che queste esperienze possano e debbano svilupparsi accanto al sistema dominante, ne correggano alcune disfunzioni e facciano scattare un processo di contaminazione e osmosi. Mi pare che ci siano modalita' piuttosto semplici da implementare (vedi i farmer's markets, ma anche la condivisione del rischio di produzione tramite il preacquisto). Mi piace anche molto l'idea delle coltivazioni urbane o in aree di immediata vicinanza. Li' si mette insieme la necessita di consumo di qualita' o socialmente attento del consumatore cittadino con quella di difendere il territorio proprio nelle aree di maggior rischio abbandono e degrado. Mi e' anche piaciuta la fusione tra esperienze "alte" tipo slow food e quelle più guidate dal basso come gli amap. Storia preferita: il donkeynet in Tanzania...ma anche gli orti urbani a New York o il Teikei Giapponese. Da leggere per consumare con più consapevolezza.
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