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La poesia può servire a cementare il ricordo, cristallizza le emozioni, è sospiro e grido al tempo stesso, è la consolazione per una perdita e Come un’arancia dolce di Vanna Corvese è la memoria pacata, a fronte di un dolore ormai omologato, dell’ultimo scorcio di vita di una persona con cui si è trascorsa gran parte della propria esistenza. Non è solo l’assistenza a un malato terminale, è l’ultimo disperato slancio d’amore: Una luce fioca / illumina il tuo corpo supino / coperto da un lenzuolo colorato. / La luce è accesa sul comodino, / come vuoi tu. / Ora dormi tranquillo / e respiri piano, / ma quando oscuri fantasmi / tornano a inquietarti / ti agiti sul letto / e il terrore / devasta i tuoi lineamenti. In questi giorni, in queste ore di attesa del passo finale si ripercorrono inevitabili episodi della vita insieme, perché visto che non c’è un futuro ci si intende inconsciamente consolare con la memoria del passato. Sono ben evidenziate le sensazioni, le emozioni, le speranze che si susseguono in questa veglia, in cui ci si può anche illudere che tutto non sia reale, ma sia solo il frutto di un brutto sogno. Però tutto finisce, la vita di ogni giorno scompare di fronte a un’attesa ormai senza speranza e se la morte è pronta a ghermire l’infermo, la persona amata che l’assiste ha la morte nel cuore. Questa silloge di Vanna Corvese è indubbiamente una poesia del dolore, della sofferenza di chi va e di quella di chi lo assiste e poi resta, e dice delle gran verità, ripete ciò che altri hanno già provato, riporta situazioni, emozioni che scavano un solco nell’animo, che magari si attenuano con il trascorrere del tempo dall’evento ferale, ma che poi ogni tanto riappaiono, senza che siano più accompagnate dal dolore, quel dolore che i giorni, i mesi, gli anni trascorsi smussano, confermando a chi resta che chi è partito non tornerà più. E’ allora che scende un velo di tristezza che permette, a chi sa poetare, di mettere in versi quel lontano dolore.
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