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Un libro che mi ha fatto scoprire una parte della Storia che ignoravo e che è stata volutamente buttata nel dimenticatoio. Mi è piaciuta la commistione tra diario di viaggio, evocazioni storiche e le emozioni, a volte "visioni" dell autore che emergevano da quello che vedeva e dalle persone che incontrava.
Tutti sappiamo che l’Italia entrò nel primo conflitto Mondiale nel maggio 1915. Ma pochissimi sono al corrente che già ad agosto 1914, più di centomila trentini e giuliani, in qualità di sudditi dell’impero austroungarico, furono inviati sui campi della Galizia (regione tra la Polonia e l'Ucraina) a combattere contro i russi. In gran parte furono sterminati; beffa finale, i prigionieri sopravvissuti, rientrati a casa a guerra finita (fine 1918), furono considerati nemici in quello che era diventato il loro Paese e spediti in campi di rieducazione nell'Italia centro-meridionale. Rumiz parte per un lento viaggio in treno sui campi di battaglia di Polonia e al confine dell’Ucraina, a visitare centinaia di cimiteri di guerra e accendere lumini assieme al ricordo di coloro che ivi caddero. Dopo un mese di peregrinazioni, al rientro in Italia, su un treno veloce, è derubato di computer e tutti i documenti scritti. Riparte e si spinge fino a Leopoli, divenuta città ospedale, prima degli austriaci poi dei russi. E’ quasi un racconto omerico, una discesa all’Ade con un forte senso di pathos e pietas e rispetto per tante vite stroncate senza una ragione. E’ un racconto incalzante, martellante, a ritmo indiavolato con un linguaggio nobile e altisonante da calibro Nobel della letteratura. Va letto con compunzione, lentamente, come quando si assiste a un’interminabile messa da requiem. Ci sono però lampi di poesia nel buio paesaggio delle tombe: “nevicano zecchini d’oro dalle betulle nel vento” (p. 85); “coro potente di abeti bianchi e faggi mormoranti, contornato da abeti rossi, larici giallo fiamma, pini di tenebra e poi aceri dai forti bicipiti, olmi torreggianti e frassini dalle gemme vellutate” (p. 96). Rumiz dev’essere nato con inchiostro nelle vene e dita a forma di penna, poiché il suo narrare è prodigioso. Un neo: la nostalgia per i bei tempi dell’occupazione austriaca di Trieste e dintorni. E le 5 Giornate di Milano, e San Martino e Solferino, inzuppati di sangue?
Nel 1914 alcuni territori del Nordest non sono ancora italiani e i loro ragazzi vengono mandati a combattere sul fronte orientale nell'esercito austroungarico. La scuola non ci parla di loro e si sa pochissimo delle loro sorti. L'autore lancia l'esca a chi vuole approfondire l'argomento e accenna soltanto al "fatto storico", per addentrarsi in un viaggio nei territori dove hanno combattuto e in un viaggio tutto suo, personale e spirituale, in cui rivive stati d'animo e sensazioni dei nostri soldati. Consigliato a chi ama le introspettive personali, ma non a chi vuole approfondire una parte di storia che in troppi hanno preferito nascondere
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