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Come dire. Galateo della comunicazione
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Come dire. Galateo della comunicazione - Stefano Bartezzaghi - copertina
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Come dire. Galateo della comunicazione

Descrizione


Le scorrerie di Bartezzaghi, allegro linguista e principe dei giocatori di parole, tra le praterie della lingua: i suoi usi e abusi, i suoi trucchi e doppi sensi. I nuovi modi di comunicare della civiltà digitale: il web, le mail, gli sms. I blog. Facebook e Twitter. Telefoni da leggere e da scrivere. Com'è fatto l'italiano che parliamo. I nuovi strafalcioni. E quelli antichi. Dall'editorialista di "Repubblica", un ritratto comico dell'Italia postmoderna, la sua lingua, la sua grammatica, la sua morfologia, la sua sintassi.
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Dettagli

2011
4 ottobre 2011
209 p., Brossura
9788804611462

Valutazioni e recensioni

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angelo
Recensioni: 3/5

Ingredienti: un viaggio attraverso l'italiano degli anni 2000, una riflessione sui linguaggi usati nello sport, nelle canzoni, nei cellulari, il passaggio delle parole dalle penne alle tastiere, un'analisi seria e comica insieme sullo stato di salute di un prezioso bene comune. Consigliato: a chi vuol esplorare le infinite sfumature della lingua, a chi crede ancora che le parole siano (morettianamente) importanti.

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luca c.
Recensioni: 4/5

Un buon libro "da treno" e con un sapore vagamente (scusate l'uso del termine e l'eccesso di virgolette) "hipster". Alcuni capitoli sono più interessanti di altri e a fine lettura la sensazione che resta è quella di un opera incompleta; necessariamente incompleta,data l'enorme quantità degli argomenti e il carattere divulgativo dell'opera. Comunque consigliato anche come base di partenza per approfondimenti.

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mary
Recensioni: 5/5

Mi ha incuriosito il sommario nel retrocopertina ed mi ha chiamato dallo scaffale delle novità, verso cui ho sempre un certo timore reverenziale. L'ho trovato un libro molto divertente che nello stesso tempo fa riflettere su cose e situazioni che nel fluire quotidiano della comunicazione a volte passano nell'approssimazione della velocità del tutto. Nell'ascoltare un' intervista poi, mi ha colto un ricordo dolcissimo: quando mio padre giunse alla meritata pensione, prese l'abitudine ad acquistare una nota rivista di enigmistica. Già era un abitudinario dei cruciverba, ma avendo più tempo a disposizione la frequenza divenne maggiore. Da piccola mi diceva sempre: "....ecco sono arrivato a quello di bartezzaghi e come al solito mi sono fermato!". Era bellissimo che quando tornavo a casa da scuola, dall'università o dal lavoro mi aspettava un momento con lui per risolvere insieme "il cruciverba di...bartezzaghi". .....un dolcissimo ed intimo ricordo a corredo di una recensione di un libro interessante e che consiglio.

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La recensione di IBS

La mia impressione è che sappiamo benissimo che esiste un tempo, un luogo, un contesto in cui bisogna fare ics e un tempo, un luogo, un contesto più adatti per ipsilon. A fregarci non è la teoria, è la pratica: e sappiamo che val più la pratica di quella parola che fa rima con pratica, e non è natica e neppure diplomatica.

Un galateo della comunicazione 2.0, per tempi in cui la pratica val più della teoria (ma c’è bisogno di qualcuno che metta dei punti). Virgola.
Bartezzaghi lo conosciamo. Tutti sappiamo che quel cognome è una ragione sociale, condensa in quattro sillabe interi paradigmi di enigmistica, raccoglie l’eredità di un padre che è stato croce e delizia di intere generazioni di aficionados delle parole crociate.
Da qualche anno Stefano Bartezzaghi è però anche felice divulgatore di una teoria dei giochi (di parole) che sembra per certi versi farne l’erede di Gianpaolo Dossena, scomparso nel 2009, che fu autore di libri eterogenei e bellissimi sul rapporto fra lingua, letteratura e giochi. Dopo aver passato in rassegna (e sulle espressioni figurate come appunto “passare in rassegna” ci sarebbe da scrivere un intero libro) l’orizzonte verticale delle parole crociate, dopo aver sbeffeggiato (a volte bonariamente, altre volte con una punta di divertito sadismo) errori e strafalcioni, dopo aver compilato interi repertori di crittografie, rebus e giochi assortiti, in quest’ultimo libro Bartezzaghi analizza alcuni degli spazi di comunicazione che la contemporaneità prevede ma che - come dire? – soffrono di una sorta di drammatica deregulation. Non basta inventare il media, si potrebbe parafrasare McLuhan. Ci vuole anche il messaggio giusto, da metterci dentro.
Cosa vuol dire giusto? Vuol dire appropriato al contesto in cui si esprime. Così, ad esempio, chiunque abbia rabbrividito almeno una volta davanti a certe prose dall’incedere bellico dei cronisti sportivi durante le telecronache delle partite di calcio, avrà più di una buona ragione per tuffarsi nella lettura di questo libro.
In Come dire Bartezzaghi passa in rassegna modi di dire, tic linguistici (e culturali), vezzi e malvezzi linguistici, e cerca di attualizzare alcuni precetti di buona educazione che abbiamo perso per strada man mano che i modi di comunicare cambiavano. Così, nel corso delle duecento pagine di questo eterogeneo vademecum, c’è spazio per alternare considerazioni sociologiche a aneddoti che vien voglia di leggere e rileggere.
Il telefono cellulare, ad esempio, è senz’altro cespite di malintesi, fraintendimenti e fonte inesauribile di pentimento da parte di chi ne fa un uso sconsiderato. Specialmente in ambito galante. Ma anche la brevità epigrafica cui obbligano i limiti di lunghezza degli SMS è un fenomeno degno di essere studiato, con i cambiamenti che ha prodotto nella comunicazione spicciola fra le persone. Altri “topics” (oltre all’uso improprio e fuori luogo di anglicismi e parole mutuate da altre lingue?): be’, ad esempio c’è un capitolo dedicato al come scrivere una e-mail; uno in cui si spiega come – quando si parla di ortografia – l’importante non sia ricordarsi proprio tutto, ma sapere a cosa prestare attenzione. E poi “come scrivere un libretto operistico” variegato e divertente repertorio retorico che attinge a tormentoni verdiani e ne mette a nudo gli intrinseci paradossi; “come compilare un menu”, dove si punta l’indice (giustamente) sulla vezzosa e insopportabile tendenza mostrata da molti ristoratori a prendersi tremendamente sul serio generando risultati grotteschi (avete mai provato ad ascoltare le “confidenze dell’orto raccolte in coccio” quando avreste solo voglia di mangiare una zuppa di verdure?).
L’acume delle osservazioni di Bartezzaghi però ha il pregio di non cadere mai fra di noi dall’alto di una torre d’avorio. Il nostro sa bene che la lingua è organismo vivo, proteiforme e inafferrabile nel suo perenne mutare e reinventare se stessa. Se si vuole avere qualche possibilità di coglierne lo spirito più autentico, e di fotografarla in modo attendibile nel momento storico presente, gli snobismi e le puzze sotto il naso non aiutano, e anzi possono rivelarsi un ostacolo insormontabile. Ci vogliono invece orecchio, curiosità, intelligenza e passione. Punto.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Stefano Bartezzaghi

1962, Milano

Viene da una famiglia di enigmisti - il padre, Piero, era un famoso cruciverbista - e come autore ha esordito con un rebus nel 1971. Collabora con «la Repubblica» con rubriche di giochi (Lessico e nuvole) e di linguistica (Lapsus). Ha pubblicato numerosi volumi, tra i quali una storia del cruciverba, L'Orizzonte verticale (Einaudi 2007), Non ne ho la più squallida idea. Frasi matte da legare (Mondadori 2007), il racconto Variazioni (nel volume collettivo Questo terribile, intricato mondo, Einaudi 2008), Lezioni di enigmistica (Einaudi 2009), L'elmo di Don Chisciotte, contro la mitologia della creatività (Laterza 2009), Scrittori giocatori (Einaudi 2010), Non se ne può più - il libro dei tormentoni (Mondadori 2010), Sedia a sdraio (Salani 2011). Nell'ottobre...

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