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Paola Caporossi, grossetana, fu chiamata nel 2007 a far parte del Comitato dei quarantacinque saggi preposto a stabilire le regole costitutive del Partito democratico, nonché a sovrintendere alle fasi preparatorie più delicate quali lo svolgimento delle primarie. L'esperienza fatta in seno all'organismo, composto con il bilancino della classica lottizzazione, non l'ha lasciata per niente soddisfatta e qui ne dà conto, annotando una serie di pungenti osservazioni, tra il finto ingenuo e il freddo politologico. Lei, come rappresentante in quota Prodi dell'Associazione nazionale per il Partiti democratico (Apd) inventata da Gregorio Gitti, in mezzo a tanti papaveri, si sente una "comparsa", convocata per dare una vernice di novità a un consesso il quale finisce più per registrare decisioni prese altrove che elaborarne collegialmente di proprie. Visti da vicino i leader appaiono nudi. Veltroni fa la figura del cinico che pensa solo ai media. D'Alema sornione latita. Anche i meccanismi definiti per le primarie paiono fatti apposta con le liste convergenti su un nome per favorire la sopravvivenza di un'astuta nomenklatura. La "cooptazione mediatica" è il metodo che vince su ogni altra procedura. I nomi degli emergenti sono noti: Serracchiani, Renzi, Gruber. Non cadono improvvisamente da chissà dove. Alla fine della requisitoria si elencano cinque errori capitali: sottovalutazione delle regole; mitizzazione dei territori; sopravvalutazione delle primarie; esaltazione di un leaderismo miracoloso; elaborazione di programmi destinati al dimenticatoio. Forse se ne potrebbero aggiungere altri. E risulterebbe ancor più evidente perché il Pd, quell'idea di Pd, pur perseguita con entusiasmo, non si sia mai concretizzata, malgrado le buone intenzioni di molti, in una forma davvero innovatrice.
Roberto Barzanti
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