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Marsilio (Saggi. Storia e scienze sociali); 1993; 9788831757454; Copertina flessibile ; 21 x 15,5 cm; pp. 308; ;qualche sottolineatura a matita, leggeri segni d'uso alla copertina, interno buono; Buono (come da foto). ; La sera del primo ottobre 1862 tredici cittadini vennero pugnalati, senza alcun motivo apparente, in vari punti della città di Palermo; le indagini seguenti ebbero sviluppi clamorosi, per il rilievo e il numero dei perso naggi coinvolti. A segnalare l'importanza di questo oscuro episodio di sangue è stato per primo Leonardo Sciascia, in uno dei suoi lucidi pamphlet sulla Sicilia, che ha gettato la responsabilità dei «pugnalatori» sulla vecchia nobiltà borbonica, ostile allo stato unitario. Ora Paolo Pezzino, muovendo da una ricchissima indagine documentaria, offre una ricostruzione completa non soltanto di un fatto criminale che per tanti versi può essere interpretato come la manifestazione originaria del contrasto fra criminalità mafiosa e Stato italiano, ma del complesso contesto istituzionale e sociale che fece da sfondo a quei delitti. I protagonisti della vicenda narrata in questo libro sono rappresentanti del nuovo ceto dirigente liberale giunto a Palermo dopo l'Unità come il giudice Giacosa, il questore Bolis, il procuratore generale Cagnis di Castellamonte, tutti uomini dell'establishment subalpino e gli ambigui personaggi usciti da un torbido milieu locale, che vedeva affiancati informatori e «pentiti», aristocratici facoltosi e popolani analfabeti, esponenti politici e giornalisti delle più varie tendenze, preti e questurini. Attraverso un'esposizione tesa e vivace, Pezzino affronta questioni che toccano gli esiti incerti dell'unificazione nazionale su cui ci si torna oggi a interrogare con inquietudine crescente: dagli ostacoli che i rappresentanti del nuovo Stato dovettero fronteggiare, alle oscillazioni e ai pregiudizi che turbarono la loro azione nel confronto con una società estranea allo spirito delle istituzioni liberali,...
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