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Libro totalmente privo di rigore concettuale, risultano assolutamente non chiare le nozioni di "realismo metafisico" "realismo empirico" a cui Parrini sembra affidarsi come fossero Vangelo..e' vero Carnap parla di realismo empirico..e con cio'? La nozione risulta oscura e priva di rigore concettuale anche in Carnap, poi tirare in ballo Kant è ridicolo: Kant ritiene che l'oggetto della conoscenza non sia indipendente dalla soggettività conoscenze ("lo spazio è in noi") e non so quanto Parrini possa agevolmente riconoscersi in un tale quadro teorico di tipo così marcatamente idealista. Inoltre il libro non chiarisce le posizioni dell'autore in merito alla natura delle conoscenze logiche e matematiche: si tratta di verità analitiche? allora Parrini deve rispondere alle fortissimeobiezioni del Quine di Truth by convention..si tratta di verità a priori? Addio empirismo..si tratta di verità empiriche (di tipo molto indiretto?) questa è, a mio avviso, una non risposta. In conclusione un libro confuso e privo di autentici spessore teorico.
Recensioni
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recensione di Ferrari, M., L'Indice 1995, n. 9
Il libro di Paolo Parrini ha il pregio di coniugare una trattazione chiara e analiticamente impegnata di alcuni grandi temi del dibattito contemporaneo sulle strutture e la dinamica della razionalità scientifica con una prospettiva più globale che non solo rilancia l'attualità di una "filosofia positiva" ma la sostiene abbandonando "una visione puramente linguistica dei problemi filosofici per il ritorno a una concezione più tradizionale".
Il termine "tradizionale", ovviamente, non ha alcun connotato "restauratore", sta piuttosto a indicare il recupero di una prospettiva più generale, di un "quadro di riferimento unificante per le analisi particolari che non sia soltanto costruito con materiali logici ed empirici. Più specificamente questo significa innanzi tutto rivendicare una concezione della filosofia il cui profilo è identificabile con un impegno analitico "non dilettantesco", con una dichiarata avversione per la metafisica che tuttavia non si riduce a un semplice scientismo, con una convinta accettazione della dimensione etica che pervade ogni atteggiamento critico-razionale, e infine con la negazione di "una diversità di principio tra discorso scientifico e discorso filosofico", ovvero con l'attribuzione alle scienze positive di un valore conoscitivo "paradigmatico".
Si capisce allora per quale motivo Parrini qualifichi il proprio programma filosofico ("Conoscenza e realtà" è in qualche misura un libro programmatico, che fa pensare allo stile di Giulio Preti seppure in forma più sobria e meno sbilanciata alla ricerca di eclettici equilibri) come un "ritorno" alla filosofia positiva: al lavoro, per riprendere le parole di Parrini, di un "filosofo positivo laico e destrascendentalizzato" che si richiama all'autorità di David Hume e Morite Schlick.
Il punto di riferimento è così, con un certo orgoglio polemico, la tradizione dell'empirismo e segnatamente dell'empirismo logico. Parrini, da esperto conoscitore delle vicende del neopositivismo, ammonisce a non scambiare la sua "crisi" con il venir meno "delle grandi idee direttrici della filosofia positiva" e si mostra (giustamente) convinto che i rapporti tra l'empirismo logico e la cosiddetta "nuova filosofia della scienza" siano un po' più complicati di quanto solitamente si ammetta. Ma questo non significa che nella prospettiva di una "epistemologia storicamente orientata" debbano mancare gli apporti di altre tradizioni filosofiche, come è provato dal fatto che Parrini si confronta criticamente, ad esempio, con l'"ideatismo logico" di Cassirer e sostiene una concezione della verità e dell'oggettività "impregnata di componenti kantiane".
Farà dunque bene a ravvedersi chi pensasse che la "filosofia positiva" di Parrini sia identificabile con l'incipit di "Hard Times" di Dickens ("Now, what I want is facis ... Facts alone are wanted in life"). Un complesso di principi (analitici, sintetici e metodologici) che in un determinato contesto sono assunti come validi a priori sembra a Parrini irrinunciabile, e in generale non vi è - in termini kantiani - un 'quid facti' che possa interamente assorbire il 'quid juris'. Tuttavia il filosofo positivo ha sempre dalla sua la forza dell'ispirazione realista, onde l'oggetto è un termine di riferimento delle nostre espressioni linguistiche indipendentemente dal tipo di schema linguistico o teorico entro il quale ci collochiamo. Tra il realismo metafisico e il relativismo radicale esiste così una "terza via" che impone limiti ben precisi non solo alla possibilità di riferirsi all'assoluto, ma anche alla dissoluzione della realtà nel gioco delle sue interpretazioni.
E questa "terza via" è anche un modo per far valere i pregi di una filosofia positiva che sappia "miscelare" un serio impegno teorico con una certa dose di distacco ironico dai problemi prettamente speculativi. C'è da augurarsi che più di un lettore si lasci persuadere della praticabilità di un simile approccio al discorso filosofico.
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