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Dimenticato per un ventennio, poi celebrato e vezzeggiato da moltissimi critici, e però condannato all'immagine di dicitore geniale di aforismi, estro puro al servizio degli altri, ma in qualche modo ozioso e inconcludente: Longanesi e la critica letteraria non hanno mai avuto ottimi rapporti. Solo di recente, alcuni storici hanno cercato di analizzarne la figura e le opere in modo più organico e asettico. Questa volta è toccato a Ungari, che ha deciso di studiarne non tutta l'opera, ma il percorso biografico che vede traghettare il genio di Bagnocavallo dall'Italia fascista a quella antifascista. Tra le molte di Longanesi, questa è una delle pagine meno solcate dalla pubblicistica, la meno sondata anche dalla biografia di Montanelli e Staglieno, uscita una ventina d'anni fa per Rizzoli. Ebbene, Ungari decide di lavorare di bulino, raccoglie, raffronta, colletta e ricompone in un mosaico di migliaia di tessere, che risultano essere di difficile reperibilità, anche in considerazione del periodo storico. Si inizia con la fuga in Italia, che ci restituisce un Longanesi con il fiato sul collo, attaccato dai fascisti, che non gli perdonano la fronda sempre più esplicita dopo la destituzione del duce, e dagli antifascisti, definiti nella migliore delle ipotesi dei "pettegoli piccolo-borghesi" che "conservano modi e preconcetti provinciali". Ma non è il solo spaccato inedito del libretto di Ungari. Anzi, è forse il più noto. Più gustose sono le pagine dedicate alle mille creazioni editoriali e grafiche del talent scout romagnolo, al rapporto di amore-odio con alcune sue scoperte (Brancati e Pannunzio su tutti), al legame umano e professionale con uno tra i più grandi giornalisti del secolo scorso, Giovanni Ansaldo. Alla fine resta un senso di incredulità e smarrimento: geniale, certo, questo Longanesi, ma di una genialità controcorrente e ai limiti del masochismo. Filippo Maria Battaglia
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