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Contro la cultura. La letteratura, per fortuna
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Contro la cultura. La letteratura, per fortuna - Silvano Petrosino - copertina
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Contro la cultura. La letteratura, per fortuna

Descrizione


Perché «Contro la cultura»? Il titolo di questo saggio di Silvano Petrosino è volutamente provocatorio, contro il mainstream dell'industria culturale odierna fatta di luoghi comuni: la letteratura si alimenta di pura gratuità, è al servizio della sola bellezza; lo scrittore scrive per se stesso, per dare voce a ciò che viene dal profondo della sua anima... E quest'idea di 'cultura' finisce, tra l'altro, per fornire l'alibi perfetto ai tanti che, convincendosi di inseguire il 'capolavoro' artistico, scrivono e scrivono solo in cerca di gratificazione e consolazione personale. L'antidoto contro queste cultura che appiattisce l'arte nel momento stesso in cui la innalza su un piedistallo c'è, ed è la letteratura, per fortuna, come appunto continua il titolo del saggio di Petrosino. La letteratura vera, che si rivela un dispositivo 'drammatico' e di grande forza rivoluzionaria: una 'finzione' che pretende di dare testimonianza alla 'verità' più profonda dell'umano. Scoprire come questo accada e quali sublimi strumenti lo rendano possibile è il proposito di Petrosino, che chiama in causa gli scrittori più amati, da Kundera a Nabokov, da Kafka a Singer, e i critici più acuti, da Blanchot a Derrida, a Barthes. L'autentica letteratura non necessariamente incontra il favore dei mercati (e comunque non lo chiede), non cerca la patinata rassegna dei sentimenti, si sporca volentieri le mani nelle profondità più buie delle emozioni, non ha paura di usare l'immaginario e il fantastico in voli altissimi e spericolati. E non si stanca di invitare ogni lettore a cogliere, come chiosa alla perfezione Petrosino, il «vibrare sottile e soave di quella finzione che è uno dei più sorprendenti luoghi in cui la verità umana non cessa di far sentire la sua voce».
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Dettagli

2017
16 novembre 2017
120 p., Brossura
9788834333501

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Mario V
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Contro la cultura. La letteratura, per fortuna

Lo spunto è un'intuizione di Blanchot, che distingue la cultura dalla letteratura: la prima è un concetto consolatorio, che tende a unificare ciò che la letteratura (che dice al lettore "le cose sono più complicate di quanto tu pensi") prova a proporre come irriducibile, singolare: la cultura normalizza la letteratura, facendone un valore astratto (né Kafka né Omero scrivevano per "fare cultura"). Visto che il soggetto istituisce il suo rapporto con la realtà basandolo sulle parole e vivendo in un universo soprattutto simbolico (Cassirer), l'a. propone una differenza tra discorsi filosofico (tendente ad omogeneità e rigidità) e letterario, in cui le parole riescono ad esprimere non tanto i valori universali (quelli della cultura) "quanto piuttosto la molteplicità stessa delle diverse e singolari esperienze degli uomini". Citando Heidegger, il discorso filosofico non sarebbe in grado di render conto della singolarità dell'esperienza: difatti tutti i grandi temi esistenziali di "Essere e tempo" sarebbero già stati "svelati, mostrati, illuminati da quattro secoli di romanzo". L'esigenza è quella di una "parola vera", una parola che "sappia ancora rendere giustizia ... al bagliore della realtà, al dinamismo della vita e alla concreta effettualità del singolo". Il valore fondante della letteratura sarebbe quindi liberare le parole dal giogo del senso comune (ma non è quello che fa anche la filosofia, da Eraclito ad Heidegger)? L'argomentazione pare prestare il fianco ad alcune critiche: oltre al contraddittorio uso di citazioni filosofiche per avvalorare la preminenza di quello letterario, dire che il medium in grado di render giustizia dell'umana esperienza "non può essere il numero ma è la lettera" (p. 54) non è dirimente nella distinzione proposta tra i due discorsi. Il punto cruciale è forse allora non tanto quest'ultima, quanto l'ineffabile dell'esperienza soggettiva, unica e imprevedibile, delle diverse letture che ciascuno di noi può fare di ogni singolo testo.

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Silvano Petrosino

1955, Milano

Silvano Petrosino (Milano, 1955) insegna Teorie della comunicazione e Antropologia religiosa e media all’Università Cattolica di Milano. Si occupa di filosofia contemporanea e, in particolare, dell’opera di Heidegger, Levinas e Derrida. I suoi studi si concentrano sul rapporto tra razionalità e moralità, sulla natura del segno e sulla struttura dell’esperienza, soprattutto dal punto di vista della relazione tra la parola e l’immagine. Tra i suoi libri più recenti si ricordano: Soggettività e denaro. Logica di un inganno (Jaca Book, 2012), Elogio dell’uomo economico (Vita e Pensiero, 2013), Le fiabe non raccontano favole. Credere nell’esperienza (Il nuovo melangolo, 2013), L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia...

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