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Immenso! Non ci sono altri aggettivi per definire questo romanzo. Roth è un grande, riesce a spiegare la questione israelo-palestinese con passione e facilità a dispetto di migliaia e migliaia di saggi sull'argomento.
Credo che «The Counterlife» (1986) venga percepito in modi molto diversi, a seconda se il lettore conosce già i precedenti romanzi che hanno Zuckermann come protagonista oppure no. Il lettore occasionale non può non restare colpito dell'orchestrazione della trama, per la sua complessità e l'originalità di alcune idee: il libro che modifica le proprie forme grazie alle alterazioni della trama che i personaggi operano sotto gli occhi del lettore, il metamorfismo identitario dei due fratelli, l'intertestualità cechoviana che circonda il personaggio di Maria (seconda di tre sorelle senza padre, come appunto in Cechov) etc. Al lettore seriale può tuttavia venire da pensare che il meccanismo sarebbe risultato più interessante se solo il protagonista non fosse ancora una volta Nathan Zuckermann, che dopo essere stato al centro di un'intera tetralogia, può risultare ormai stanco e poco credibile. «È l'infida immaginazione a creare ciascuno di noi; siamo tutti invenzioni reciproche (...) siamo tutti autori gli uni degli altri» (cap. 3). Molto bello, molto kunderiano. Ma sarebbe ancora meglio se a dirlo fosse un personaggio nuovo, anziché lo stesso ormai ben conosciuto dal lettore seriale e che ha già collezionato troppe sindromi, per accollarsene di ulteriori.
I precedenti romanzi letti di Roth mi avevano lasciato un giudizio positivo sull'autore: nemesi più di tutti, con un uomo schiacciato dal peso da lui stesso assegnato alle proprie responsabilità. Ho fatto invece fatica a terminare la controvita, composto per la maggior parte di riflessioni e interrogativi sull'ebraismo.
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