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Il cosmopolitismo, leggiamo in questo denso studio di Angela Taraborrelli, è strettamente legato alla realtà contemporanea, come appare chiaro a chiunque se ne faccia osservatore. L'autrice ripercorre il dibattito sviluppatosi negli ultimi decenni tra gli alfieri dell'approccio morale (Beitz, Pogge), etico (Nussbaum), etico-culturale (Appiah), politico-legale (Kaldor, Held, Archibugi), perfino vernacolare (Bhabha). Per buona parte degli studiosi, la priorità consiste nell'affermare un ideale di uguaglianza e cooperazione. Fra gli ostacoli più pericolosi che si frappongono alla sua realizzazione, Pogge individua come inaccettabile principio coercitivo il sistema di International Property Rights, che innesca tragiche conseguenze sul versante dei farmaci salvavita nei paesi poveri (taluni peraltro negano che i paesi ricchi siano cause attive dell'altrui miseria). Anche in ambito culturale i punti di accordo fra le varie scuole di pensiero non sono numerosi. L'unica idea unanimemente condivisa è che, nell'epoca del riflusso identitario (cosa che un pensatore come Appiah mostra di tenere in considerazione per il proprio cosmopolitismo "radicato", ossia rispettoso delle radici comunitarie), sembra davvero arduo contentarsi dell'arida e vorticosa globalizzazione economica che abbiamo sotto gli occhi. Più o meno analogamente, nota ancora Taraborrelli, si dovrebbe auspicare l'elaborazione di una compiuta teoria dello stato in veste cosmopolitica: progetti come quello patrocinato da Archibugi o da Held continuano a stimolare il dibattito, soprattutto in riferimento al ruolo dei popoli nell'orientare le decisioni dell'Onu.
Daniele Rocca
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