Dal 1° novembre 1922, quando la sua direzione venne assunta da Arnaldo Mussolini, al 26 luglio 1943, giorno in cui cessarono di farlo uscire, il "Popolo d'Italia" fu l'organo di stampa della famiglia Mussolini. Alessia Pedio, cui già si devono lavori significativi sul fascismo e la sua cultura, ne ricostruisce la vicenda editoriale, passandone al vaglio configurazione ideologica, tirature, costi, popolarità; il livello complessivo non fu basso, grazie a collaboratori quali Paolo Orano, Agostino Lanzillo, Enrico Corradini, Camillo Pellizzi, Sem Benelli, Guido da Verona, Ardengo Soffici. La pagina dedicata ai reportage ospitava il tentativo di "colmare una lacuna nella costruzione dell'identità nazionale, proprio là dove il Risorgimento aveva fallito", con particolare richiamo a realtà extraeuropee: fu infatti anche attraverso questi servizi che "Il Popolo d'Italia" promosse un imperialismo che si potesse far collante per tutta la nazione, secondo una linea caldeggiata anni prima già dal "Regno". Se però è vero che gli inviati non si contentarono della ripresa di temi presenti nei giornali maggiori, né di affastellare gustosi aneddoti, è altrettanto vero che in alcuni casi l'ottica fu quella di un precursorismo interessato a rilevare in qualche realtà esotica (Libia, Etiopia) un destino "italiano", e che in molti altri la qualità dei reportage fu mediocre: sull'Africa, per un Arnaldo Cipolla non di rado felicemente immune dai cliché, Mario Appelius, il reporterpiù prolifico, ne offrì a carrettate. Improntate allo stereotipo della "mollezza" orientale (che non si applicava al "fascista" Giappone) erano anche le relazioni dall'India, tranne quelle del tibetologo Giuseppe Tucci. Che invece, malgrado le critiche al monopolio di stato, non si manifestasse particolare ostilità verso l'Urss, lo si dovette probabilmente al trattato economico stipulato con i bolscevichi nel tardo inverno del 1924. Mussolini ammetteva una certa familiarità tra fascismo e bolscevismo, ferma restando la superiorità spirituale della civiltà latina: così, al pari di quanto faceva da decenni Charles Maurras in Francia, per l'avvento del comunismo ci fu chi mise sul banco degli imputati Tolstoj; agli occhi di molti fascisti e conservatori, era stato lui, con il suo "anarchismo cristiano", ad aver paradossalmente innescato la rivoluzione materialistica. Del resto, al di là delle critiche al pretenzioso gigantismo pseudo-occidentalista dei sovietici, sulla questione il regime stesso, che nel 1933 stipulava con l'Urss un trattato d'amicizia, rimase ambiguo. Quando infine scattò l'Operazione Barbarossa, Luigi Barzini, enunciando fosche profezie sulla fiumana asiatica destinata a travolgere l'Europa, prese a riecheggiare l'ossessione panmongolica che nel settembre del 1939 aveva condotto al suicidio l'autore di Insaziabilità, il polacco Stanisław Witkiewicz. E gli Stati Uniti? Seppur cautamente, Mussolini su queste pagine ascrisse il New Deal a quell'"atmosfera fascista" che egli riteneva ormai permeare anche il Nuovo mondo; l'attenta analisi qui condotta sull'evolversi delle concezioni fasciste come si avvertono nel "Popolo d'Italia" evidenzia, peraltro, una critica del modello di civilizzazione americano sempre più netta con il passare degli anni. Daniele Rocca
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