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L’obiettivo di questo libro sta già nel suo titolo alquanto pretenzioso: istruire il lettore all’uso della creatività. Parola magica che fa venire in mente geni come Leonardo o Einstein, ma che qui l’autore riporta al senso comune, smontandone i processi interni e cercando di coglierne soprattutto l’uso strumentale che di essa fa la società, ancor prima dell’individuo. Quest’ultimo infatti, sia nelle vesti di cittadino che in quelle di collaboratore di un’organizzazione aziendale prima di essere semplice esecutore di un’azione dettata dall’alto si chiede legittimamente il “che cosa” essa sia, il “perché” farla e il “come” farla (p. 32). D’altro canto il dirigente di un’azienda o anche il politico, gestore di risorse umane, prima di essere un motivatore è soprattutto “un animatore creativo” (ibidem). Nella creazione della marca di un prodotto ci si volge a delineare secondo l’autore, “il profilo semantico del nome visto dal consumatore”, (p. 81) attraverso un processo di tipo maieutico volto a far venire alla luce ciò che nella mente del fruitore di quel prodotto è solo allo stato fetale. Anche il successo nel lanciare una nuova impresa presuppone una parte logico-razionale che si preoccupi delle applicazioni pratiche e dei benefici che essa farà nascere e di una parte più emotiva che punti a spettacolarizzare se stessa, a impressionare il consumatore e quindi, il mercato. In ultima analisi, l’autore descrive la creatività come il risultato di un mix di “idee folli” e “ragionevoli”, di pensiero convergente e divergente, di “ragion pura” e “ragion pratica”, per dirla in termini kantiani. Questo a farci ricordare che cuore e mente, intuizione e continuo esercizio non sono in eterno conflitto fra loro, ma possono, anzi devono, conciliarsi in una superiore unità. Chi ci riesce padroneggia la propria creatività.
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