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Le affacciate - Caterina Perali - copertina
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affacciate

Descrizione


Dopo anni di lavoro totalizzante in un'importante società di eventi, Nina viene lasciata a casa. Disoccupata, cinica e piena di pregiudizi, circoscrive la vita entro i confini del suo condominio a ringhiera, mantenendo però una florida e fittizia routine tra chat e social network: più del senso di vuoto, è l'onta della disoccupazione a toglierle il sonno. Indolente, trascorre le giornate a osservare i condomini, punti di riferimento di un mondo intimo ma che sente lontano. Fin quando la sua attenzione si concentra su una vicina da sempre scostante, diventata improvvisamente perno silente e misterioso di un gineceo di tre anziane: la smilza, la leopardata e la forzuta. Cosa succede quando perdiamo le nostre certezze? Da dove si ricomincia? Soprattutto, è possibile fare a meno dei propri sbagli? Ironia, una buona dose di impertinenza, l'irruenza della vita: Caterina Perali sceglie con cura gli ingredienti e mette in tavola una storia di donne la cui forza e audacia non conoscono età.
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Dettagli

Dry
2020
6 febbraio 2020
158 p., Brossura
9788896176702

Valutazioni e recensioni

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Princi
Recensioni: 1/5

Inutile e fastidioso. Non sopporto l’ironia a tutti i costi. Arrivata a pagina 82 ho pensato che avevo di meglio da fare, ho chiuso (per sempre) il libro e ho spolverato casa.

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Francesco 1912
Recensioni: 2/5

Nina lavora, o è meglio dire lavorava, per una società organizzatrice d’eventi, ma, causa un feroce taglio del personale, si ritrova disoccupata. Insomma, è una delle tante vittime di questa società liberista. Ed allora, Nina si chiude in casa, conta i chiodi sui muri, scambia interminabili messaggi con un’amica che non vede mai ed alla quale si dichiara in piena attività lavorativa e con molti ed improrogabili impegni, esce a far la spesa, si lancia in lunghe, interminabili elucubrazioni. Saltuariamente, incontra, nelle scale del palazzo dove abita, due anziane signore, sue vicine, con le quali instaurerà una solida amicizia. E tra elucubrazioni, messaggi vari, ed incontri amicali, giungerete alla fina del libro, per fortuna breve, domandandovi chi ve l’abbia fatto fare.

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Melime
Recensioni: 5/5

Apparentemente “Le affacciate” racconta la storia di una giovane donna, dedita completamente alla carriera fino a rimanerne affogata che all’improvviso perde il lavoro, senza un perché, andando incontro ad una sorta di crisi esistenziale e, affrontandola, incontra un trio di vecchiette dall’apparenza insignificante e mentre lo fa continua un dialogo whattsappiano con l’amica di sempre a cui però non riesce neanche a dire di essere stata licenziata o di desiderare il suo vecchio amore o anche solo di incontrarla, fisicamente. Tutto è una chat o un account social in cui mostrarsi perfetta e indistruttibile e, perchè no, persino inarrivabile. Ecco, solo apparentemente. In realtà le considerazioni che questo libro apre su Nina, la protagonista, il suo sé e il sé del lettore sono infinite. E le domande che nascono sul vivere per vivere, senza vivere,,pure. E su queste vecchiette e i loro inimmaginabili segreti capace di generare più vitalità di un ragazzino, anche. E sul loro rapporto, fatto di crude e intime verità, che mai Nina si sarebbe sognata di confessare ad alcuno. E’ un libro sulla paura, paura di scegliere, paura di vivere e cadere e non più rialzarsi, di fallire. La paura dei tempi moderni. Un libro scritto con un lessico nervoso e all’avanguardia, uno scontro generazionale in cui il moderno ha di sicuro la peggio. Brava l’autrice, bravi Neo!

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Recensioni

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Voce della critica

C’è una particolare consuetudine che da sempre disciplina il mondo del lavoro: tutti sono utili, nessuno è indispensabile. Questa norma non scritta aleggia sulla testa di qualsiasi lavoratore dipendente come una spada di Damocle fantasma: non si vede ma è sempre lì pronta a far male, e quando la lama cala spesso è impossibile schivare il colpo. Le affacciate, ultimo romanzo di Caterina Perali uscito per Neo Edizioni, comincia proprio da questa spiazzante presa di coscienza.

Nina vive a Milano – la ormai non più Milano da bere – in un quartiere vicino al Bosco Verticale, complesso residenziale caratterizzato dalla presenza di piante, alberi e arbusti distribuiti sulle facciate soleggiate delle abitazioni. La torre di appartamenti fa ombra ai pensieri di Nina, che trascorre le sue giornate stesa sul letto a contare i chiodi incastonati nelle travi di legno sul soffitto. È stata licenziata dalla società di eventi per cui lavorava più di dodici ore al giorno, e adesso non ha più niente da fare se non affondare gli occhi dentro di sé, e ascoltarsi. 

Era abituata a essere sempre reperibile, sempre pronta a rispondere a qualche email dell’ultimo minuto, ma adesso Nina è spiazzata dal silenzio del telefono e dal tempo che si ritrova tra le mani, questo tempo vuoto e improduttivo che la costringe a pensare ossessivamente a cosa può essere andato storto nella sua vita, a come poter ricominciare; ma i pensieri sono tutto fuorché lucidi: la libertà è un abbraccio amico che non scalda, l’isolamento una fortezza accogliente dentro cui rinchiudersi a leccarsi le ferite:

«Sono tornata libera. Libera da quell’ufficio, libera dai badge, dalle scrivanie, dalle note spesa, dalle richieste assurde, dall’ansia da prestazione, dalle riunioni alle sei del venerdì sera. Posso tuffarmi di testa nel mondo, seguire le onde di Peniche e surfare, imparare il walzer viennese e guardare le stelle. E invece, la mia unica reazione è stata quella di alzare i muri e mettere i secondini a guardia. Ho imposto loro di essere pronti a sparare, di non permettere a nessuno di scavalcare e di lasciarmi finalmente sola, a contare i chiodi, fissando per sempre le venature delle mie travi».

Lo sconquasso emotivo e il «terremoto di certezze e identità» che Nina prova dopo aver perso il suo lavoro è molto simile a ciò che si esperisce dopo una lunga relazione; non a caso, la faccia dell’ex Lorenzo fa molto spesso capolino nella sua mente, ricordandole con nostalgia sensazioni ormai perdute. Ma ciò che nel romanzo maggiormente si intuisce è che il licenziamento segna, per l’Io di Nina, una radicale apertura verso quel senso di vuoto esistenziale che per anni aveva tenuto a bada grazie a un lavoro totalizzante e l’uso/abuso dei social network.

I social smaterializzano la nostra vita permettendoci di mostrare il nostro miglior Io possibile; il loro effetto anestetizzante nei confronti di quei quesiti esistenziali che richiederebbero davvero la nostra attenzione – la libertà, l’isolamento sociale, l’assenza di scopo – è estremamente potente. E noi lasciamo che sia così, perché ciò ci permette di non sentire, perché ci fa comodo, anche se solo in apparenza: i social sono «Un gioco di ruolo anche per noi, diventate a nostra volta vittime della fragilizzazione delle relazioni, come diceva Bauman».

Ma quando il nostro Io subisce una dura botta come un licenziamento, che ci obbliga a rimetterci interamente in discussione, quale uso si fa dei social? È bene mostrarsi indifesi e vulnerabili o è meglio fingere, proteggendo così il nostro miglior Io possibile? Nina scioglie questo dubbio decidendo di nascondersi dietro la barriera dell’irreale: su Facebook lascia credere che stia ancora lavorando, e in un primo momento anche alla sua cara amica Anna, con cui chatta per commentare l’ennesimo atto terroristico, l’ennesimo barcone naufragato in mare, decide di non rivelare niente.

Subissata dai dubbi e in preda all’incertezza, Nina è alla disperata ricerca di qualcuno che le permetta di alleggerire il peso del suo senso di fallimento. Comincia così a interessarsi alle vicende della sua vicina di casa, la signora Adele, e a due sue amiche: Teresita e Svetlana, rispettivamente ribattezzate da Nina la smilza, la leopardata, la donna forzuta. Sono persone che Nina non reputa socialmente rilevanti, eppure sono la presenza più autentica con cui può, in questo momento, entrare in contatto.

E dall’incontro con Svetlana, serba trapiantata a Milano, emerge un altro tema molto importante del romanzo: l’idea che sia possibile decifrare, attraverso lo stereotipo e il cliché, chi si ha di fronte senza conoscerlo davvero. Nina si aspetta di essere accudita dal dolore della storia di Svetlana giacché fungerebbe da antidoto al suo vuoto esistenziale («Mi parlerà da sopravvissuta e io non vedo l’ora»); ma per Nina appoggiarsi alle sole apparenze altro non è che l’ennesimo meccanismo di difesa volto a proteggere il suo Io spezzato, in un vortice di incomprensione che forse si acquieterà solo alla fine del libro.

«Sono qui, in questo gineceo spettinato, che mi accetta quasi come le travi del mio bilocale. Presto saprò quanti morti ha visto Svetlana caderle davanti, quanto odio e ingiustizia le sono schizzati davanti agli occhi. Aspetto che il suo accento balcanico mi raggeli il sangue con storie di guerra, polvere e macerie. Cerco sensazioni forti. Ne voglio sempre di più e più velocemente.
E mentre spero di piangere tutta la disperazione della mia identità spezzata, commento sui social l’inguaribile abito della gallerista per cui, nel bluff della mia vita online, ho organizzato un evento ieri sera».

Con uno stile particolarmente asciutto e ficcante, Le affacciate riflette su tutti questi temi senza risultare retorico o banale, cosa non semplice. Riesce ad andare in profondità creando un’amalgama ben bilanciata di scorci di vita che ci riguardano molto da vicino. L’unico difetto, se si può reputare tale, è che per la densità degli argomenti trattati la storia avrebbe potuto prendere più aria con l’aggiunta di qualche pagina nella parte finale; nel contempo, ciò non scredita i meriti del romanzo né la qualità stilistica della scrittura.

Recensione di Angela Marino

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