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Il crepuscolo degli idoli. Riflessioni in treno su scienza ed esistenza - Davide Schiffer - copertina
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Descrizione


"Siamo tutti in attesa, per qualcuno presumibilmente più lunga, per altri più breve... ma non voglio viverla come un periodo della mia vita diverso da come è stata finora, anche se il mio ruolo è scaduto o è diverso da prima. Penso anche di essere fortunato in confronto a chi trascorre l'attesa in condizioni psichiche o fisiche menomate. In fondo, vivo l'esperienza della vecchiaia con consapevolezza e con gli strumenti per analizzarla. Il tornaconto sta nel poterlo fare e non nella gioia che dà. Chi dice che la vecchiaia è bella? Non lo è. Lo può essere solo nella misura in cui uno invecchia mantenendo caratteristiche del non-vecchio. Quindi la non-vecchiaia è bella". I viaggi in treno di Davide Schiffer diventano pretesto e momento di riflessione profonda, di analisi introspettiva, di aggiornamento scientifico e di immersione nei ricordi di una vita votata alla conoscenza dell'uomo in tutti i suoi aspetti. Neuroscienze e idealismo tedesco, memoria collettiva e ricordi personali, tutto raccontato con delicatezza sapiente...
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Dettagli

2013
18 dicembre 2013
256 p., Brossura
9788898771042

Voce della critica

  Gli allievi di Schiffer, leggendo il ricordo che il loro maestro aveva lasciato per il collega LB, si sono resi conto delle sue innegabili qualità di scrittore. Dal libretto, che raccoglieva gli scritti di coloro che avevano seguito e apprezzato LB in vita, emergevano le pagine redatte da Schiffer: in poche pennellate, con un guizzo moderno e vivace, ne veniva fuori tutta la personalità, fatta di pregi e difetti, del suo amico e collega, come in un piccolo quadro espressionista. In quell'occasione, alcuni avevano pronosticato al professore un futuro da scrittore. Non so se sia stato questo entusiastico invito a proseguire, o se Schiffer lo desiderasse già molto prima di andare in pensione, ma è certo che, appena gli obblighi istituzionali di clinico neurologo glielo hanno permesso, ha cominciato a produrre pagine di memoria. La sua scrittura è, infatti, sempre incentrata sulla memoria. Memoria come memoria storica, ma anche memoria personale, e infine, memoria come fenomeno collettivo. Schiffer è stato, suo malgrado, protagonista di uno dei momenti più intensi del secolo scorso: la sua infanzia gioiosa s'infrange contro le leggi razziali, che costringono la famiglia a lasciare l'amatissima Procida per cercare fortuna al nord, fortuna che purtroppo non troveranno. È qui al nord, infatti, che inizierà la guerra e che, soprattutto, l'episodio più drammatico della vita del piccolo Davide prenderà corpo: il padre ebreo viene arrestato sotto i suoi occhi per essere poi deportato ad Auschwitz, dove morirà tre anni dopo, lasciando la sua famiglia, oltre che nel lutto, anche in una grave indigenza. Si percepisce in tutti i suoi libri, ma soprattutto in quest'ultimo, che l'arresto del padre ha rappresentato l'evento cruciale della sua esistenza: da allora la percezione della vita del piccolo Davide, poi adulto e infine anziano, si modificherà diametralmente. In seguito alla scomparsa del padre, ad appena sedici anni, Davide sale in montagna e si lega alla resistenza. La faticosa risalita dall'indigenza al benessere nell'Italia del boom economico, la dura vita dello studente brillante ma disagiato, gli incontri nella Torino del primo dopoguerra con personaggi interessanti al collegio universitario, e poi la ricerca e l'università degli ultimi quarant'anni, fanno parte della memoria storica di questo paese e come tali vengono raccontati nei suoi libri. In Il crepuscolo degli idoli, però, quello che emerge rispetto alle opere precedenti è soprattutto la memoria personale. Chi conosce l'autore lo considera una persona sicuramente riservata, probabilmente fredda, e verosimilmente poco sensibile agli influssi esterni. In realtà questo libro è scritto da una persona inaspettatamente ipersensibile nei confronti del mondo esterno. Schiffer osserva il mondo circostante, dal finestrino di un autobus o dal sedile di un treno, con grande acume e con generosa disponibilità, e soprattutto sempre in profondità, utilizzando tutti e cinque i sensi. Risaltano in ogni descrizione i profumi, i rumori, i sapori, i colori, che non solo riempiono il quadro descrittivo ma che riportano anche (ed ecco la memoria personale in senso proustiano) a eventi della vita passata, con una vivacità che dà il metro della sensibilità, di un Davide bambino, ragazzo e, infine, adulto. Ma questo libro di Schiffer, pur parlando dell'autore giovane e adulto, è un libro incentrato sulla vecchiaia e in questo risiede la sua peculiarità e la sua originalità. Parlare di vecchiaia è sempre doloroso, spesso fuori luogo, talora al limite dell'osceno ma l'autore intende fare proprio questo: raccontare, benché sgradevole, quanto sia duro accettare la senilità, anche se questa è dorata, e non segnata da malattie o dal declino psichico ed emotivo. Il messaggio che Schiffer vuole far passare è che, in un mondo in cui quasi tutti diventano vecchi, essere vecchi è "per dirla in termini gestaltici: quando da figura diventi sfondo e non sei più oggetto di attenzione attiva". Il libro è il racconto di come una persona anziana, che non si sente ancora da rottamare (per usare un termine attuale), combatte per "non essere valutato, a un rapido sguardo, come appartenente a una categoria umana inferiore" e per accettare senza rancore che "il tuo ambiente ti secerne, come un elemento ormai estraneo". Sulle impressioni, percezioni e sensazioni di un vecchio, ma non per questo con meno diritti di un giovane di raccontare qualcosa che non siano solo memorie, è costruito tutto il libro. Impressioni dettate talora da pregiudizi (che peraltro Schiffer riesce a controllare straordinariamente bene), ma sempre ritmate da citazioni che nascono da una cultura solidissima, che fa da architrave a ogni affermazione e considerazione. Ciò che rende diverso il modo di sentire di un anziano risiede in un dato imprescindibile: il futuro è a tempo, anche se non lo si percepisce prima della vecchiaia: "Allora avevo l'impressione di vivere in un eterno presente per la grande quantità di tempo che avevo davanti. Eppure tutto è decorso e per riviverlo non posso farlo che nel mio pensiero. È depositato in me e durerà quanto la mia coscienza. E poi?" E poi? Ecco infine l'ultimo tassello della memoria su cui Schiffer s'interroga. Cosa resta della memoria di un evento quando i suoi testimoni diretti scompaiono? La domanda che si fa Schiffer è la seguente: cosa sarà della Shoah dopo che saranno morti gli ultimi che, come lui, l'hanno vissuta, e quando sarà derubricata a evento del passato, come possono esserlo ai nostri occhi le crociate? Su questo interrogativo si chiude il libro lasciando percepire che Davide Schiffer, con la curiosità che lo contraddistingue, è pronto a raccogliere una nuova sfida letteraria nel tentativo di chiarire meglio, inprimis a se stesso, il significato della memoria come evento collettivo.   Maria Claudia Vigliani

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