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La critica impossibile. Conversazioni con Cesare Garboli - Cesare Garboli - copertina
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2014
31 maggio 2014
96 p.
9788876983016

Voce della critica

  In un passo del suo Diario, Witold Gombrowicz si scagliava contro l'ipocrisia della critica giornalistica, accusando i recensori di intrattenere spesso un rapporto inautentico con il mondo dello spirito e con la letteratura stessa; dovendosi piuttosto vivere, la critica letteraria, come sacrosanto antagonismo di due personalità. Non il giudizio, quanto la descrizione necessaria delle proprie reazioni: scrivere, "in rapporto all'opera e all'autore", solo di se stessi. Fare della propria esistenza l'argomento privilegiato, trattandola, più che da pseudo scienziati, da artisti. Come non pensare al Critico come artista (1890) di Oscar Wilde, che paragonava la critica al "resoconto di un'anima" (avendo a che fare più con i pensieri che con i fatti), l'unica "forma civile d'autobiografia"? A fare della vita materia di scrittura non ha mai rinunciato nemmeno Cesare Garboli ("Come si fa a uscire da se stessi: è impossibile"), per il quale (come spiegava in un'intervista rilasciata a "Linea d'ombra" nel 1987), nel rapporto con gli scrittori il critico somiglia a un Enea che non sa di portare un Anchise sulle spalle: e però nel desiderio (qui il sostanziale correttivo) di "parlare di un altro e capire un altro". Questa effige di inconsapevolezza sulla sorte del critico possiamo leggerla adesso in La critica impossibile. Conversazioni con Cesare Garboli, prezioso volume edito dalle Edizioni Medusa (a cura di Silvia Lutzoni e con la prefazione di Massimo Onofri), nel quale confluiscono alcune tra le numerose interviste concesse dal critico tra il 1972 e il 2001. Dopo essere stato assurto, talvolta, a frainteso modello al quale impropriamente rimandare la tentazione di fare della critica romanzo (non ultimo per ragioni di appeal commerciale), a dieci anni dalla sua scomparsa Onofri, introducendo il libro, mette subito a fuoco il "feroce paradosso" che ha segnato la vocazione garboliana: la dolorosa fuoriuscita dalla realtà cui conduce lo scrivere, di contro all'irrinunciabile tensione, da scrittore-lettore, a "spiegare e spiegarsi la vita". Con l'inconfondibile conversare intessuto di "smagliante intelligenza e ironia" (così Grazia Cherchi), Garboli spiega come più che la considerazione cimiteriale della letteratura in sé e per sé, a interessarlo sia ciò che essa ha il potere di celare e rivelare, per cui la critica non può che essere vissuta come avventura di decifrazione; racconta da dove nascono alcuni suoi libri, di come, muovendo da indizi in apparenza marginali, sia riuscito a ricostruire il senso di un intero destino, cartomante alla rovescia che rifà i tarocchi agli autori-feticcio (e agli amici) per svelare il loro passato. Ecco un paio dei suoi fulminanti oroscopi: Mario Soldati? Un "narratore dell'Ottocento con l'anima di uno scrittore del Novecento"; Antonio Delfini? Un "uomo del passato che non seppe vivere nel presente; ma questa incapacità lo fece slittare nell'orizzonte del futuro. Esso lo fa cadere nell'oggi". Non meno perentorio, e intriso di un metafisico pragmatismo, quando si tratta di dire ancora (intervistato da Roberto Barbolini per "Panorama") del suo corpo a corpo con i libri e gli autori: "Non so se il critico è uno che va a vedere. Io lo faccio". E forse il paradosso dell'uscita dalla realtà per meglio comprenderla, il senso di quel sospeso aggirarsi tra il libro e la vita, ciò che lo distanzia dal puro scrittore, Garboli lo chiarisce pungolato da Enzo Siciliano in occasione di un incontro al Salone di Torino del 1998 (Genio e regolatezza), esprimendo l'essenza profondamente archeologica della sua immaginazione critica. Leggiamo: "Siamo creativi entrambi, solo che tu crei quello che non c'è o non c'è ancora, e io cerco quello che c'è o che c'è stato". La lezione più schietta di Garboli è stata senz'altro quella di aver saputo capitalizzare al massimo quell'incrollabile senso di "delusione della realtà" che lo indusse, dopo l'ennesima pagina nera della storia del nostro paese (l'affare Moro), ad abbandonare Roma per trasferirsi nella casa-rifugio di Vado di Camaiore, sperimentando la speciale condizione da postumo in vita ("Quando si è morti si lavora benissimo"): "assentarsi", come un signor Palomar divenuto adulto e che, liberato da ogni ansia, abbia davvero saputo "imparare a morire".   Domenico Calcaterra

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Conosci l'autore

Cesare Garboli

1928, Viareggio (LU)

Saggista e critico italiano, fu una figura «anomala» nel panorama della critica italiana per la molteplicità degli interessi e per l’originalità della scrittura, ricchissima di tonalità, capace di orchestrare gli ingredienti più diversi: sensibilità rabdomantica, finezza psicologica, una vena narrativa che si esprime in una particolare capacità di usare lo humour e di raccontare per immagini. Garboli ha espresso una particolare forma di creatività, che incrocia le vie della ricerca storica con quelle del saggismo scientifico o addirittura presiede alla trasformazione maieutica dell’immaginario in funzione del vissuto o dello storico. In particolare, si è occupato di Dante, Shakespeare e Molière (dei...

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