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Il testo di Maalouf si presenta come un romanzo attraverso il quale si tenta di narrare le vicende che noi comunemente siamo soliti definire con Crociate da un'altra angolazione, quella degli arabi musulmani. Troppo spesso il linguaggio risulta pregiudicato, carico di precomprensioni dettate dal retroterra culturale che lo ha forgiato, e così contribuisce a costruire una realtà fittizia e stereotipata che viene tramandata nei secoli come Storia. Il lavoro di Maalouf (ce ne fossero di lavori come questo nei manuali di storia per studenti occidentali!) tenta di derubricare le vicende che videro impegnata l'Europa e il vicino oriente tra XI e XIII secolo dal novero di guerre per la conquista del luogo sacro alla Cristianità e di restituire gli eventi a quelli che realmente furono, cioè guerre di conquista, di invasione indebita di territori nei quali convivevano ormai pacificamente musulmani, ebrei e cristiani. L'operazione di Maalouf, adeguatamente documentata attraverso i cronisti arabi dell'epoca, mette a fuoco le successive ondate di invasioni da parte dei Franchi, così erano chiamati indistintamente tutti gli europei, che spesso non lesinavano di distruggere chiese cristiane e sbeffeggiare i simboli cari al Basileus ortodosso. Emergono, inoltre, interessanti e usuali alleanze militari incrociate tra cristiani e musulmani che combattevano altri cristiani e musulmani, tutto solo per l'unico scopo per cui le guerre si combattono: la sete di potere che si concretizza nella conquista di un territorio. Da tutta la narrazione emerge la sola figura di un personaggio epocale e illuminato, eroe non dei due mondi, ma dell'unificazione dei mondi e delle culture: Federico II di Svevia, teutonico amante del Sud Italia e della cultura araba, uomo cui dovrebbero guardare costantemente i governanti di tutti i tempi.
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