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scheda di Roncaglione, A., L'Indice 1993, n. 5
"La grande trasformazione", pubblicato nel 1944, è un saggio di fondamentale importanza per la moderna antropologia economica e per l'economia comparata. Che Polanyi sia il padre fondatore di "una nuova economia" -come da alcuni è stato salutato - o che piuttosto si debba parlare di "metaeconomia" o di critica dell'economia politica, è questione poco rilevante di fronte al contributo di "The Great Transformation* alla costruzione di una scienza unificata delle società umane. Sotto il titolo di "Cronache della grande trasformazione", Michele Cangiani ha raccolto alcuni degli articoli che Polanyi scrisse, a partire dal 1924, per "Der Osterreichische Volkswirt", il settimanale economico viennese (corrispettivo austriaco della rivista "Economist") chiuso nel 1938, in seguito all'invasione naztsta.
Polany, negli anni venti, era a Vienna e guardava alle vicende mondiali "con occhi inglesi": la Gran Bretagna gli appariva come "la più progredita fra le democrazie". Nel 1924 il piano per la sicurezza presentato dal governo laburista, venne respinto. La tesi di Polanyi, ancora tredici anni dopo ("Europe Today"), è immutata: "il cosiddetto sistema di Versailles non poteva durare" e il protocollo di Ginevra proposto da MacDonald costituiva l'ultima concreta possibilità di evitare la guerra. L'anno seguente l'Internazionale socialista e laburista lasciava inconcluse le trattative sul patto di garanzia di non aggressione tra Francia e Germania. Un anno dopo, lo sciopero generale inglese segn• "l'avvicinamento della Gran Bretagna al sistema continentale europeo nel campo della storia sociale". Il 1926 è dunque un anno cruciale. Il fallimento del socialismo radicale e riformista, cui l'autore aderì fin dagli anni della giovinezza ungherese, sembrerebbe far scivolare l'Inghilterra verso un'involuzione corporativa della democrazia. Polanyi matura così l'interesse per gli aspetti istituzionali e funzionali delle diverse organizzazioni sociali: il conflitto fra queste, dirà in "Pietra Miliare 1935", conta più della guerra e dei trattati di pace. Ecco allora l'industria tessile giapponese a confronto con quella inglese e gli Stati Uniti di Roosevelt a confronto con la catastrofe dell'Europa, dove, più che altrove, la tradizione del liberalismo ha fatto sì che l'equilibrio fra le potenze venisse affidato all'economia di mercato e alle relative fragili garanzie istituzionali. Quanto è avvenuto in Austria, con l'avvento del fascismo, non sarebbe altro che l'imposizione, sul piano della politica interna, di questa "trasformazione" congenita al sistema liberale, che, pur di mantenere l'autonomia tipica del capitalismo, tende ad annullare la separazione tra politica ed economia.
Il tema centrale di "The Great Transformation* compare così negli ultimi articoli di questa raccolta, pubblicati sul "New Britain" e dedicati al fascismo austriaco e al suo filosofo, Othmar Spann, la cui "utopia non fa altro che confermare pienamente il concetto che l'essenza del fascismo consiste nell'assicurare ai proprietari dei mezzi di produzione e ai managers il potere nella camera economica, per poi stabilire il potere di quest'ultlma sulla società complessiva".
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