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L'horror belga non ha una grande tradizione quantitativa, ma presenta notevoli picchi qualitativi. Jonas Govaerts si inserisce con autorità nella storia belga dell'horror aggiornando ai tempi moderni uno dei classici tòpoi dell'horror: il bosco cupo e misterioso, con l'accampamento dei giovani scout e un essere feroce che si annida nell'oscurità. Prima che qualcuno pensi a Jason Voorhees, bisogna avvertire che siamo su un versante più realistico e, per questo, più impressionante. Il film rielabora lo spirito dei racconti orrorifici tramandati attorno al fuoco dei campeggi e lo unisce alla ferocia degli slasher silvestri per trarne un racconto teso, feroce e riuscito anche sotto il profilo drammatico. Il disagio di Sam (orfano e con un passato violento e misterioso) si lega a quello generato dalla rovina sociale, con la spettrale fabbrica abbandonata a rappresentare l'essenza di una profonda crisi che ripudia e imbestialisce. Proprio per questo, Sam è anche l'unico in grado di capire che c'è incredibilmente qualcosa di vero nella leggenda di Kai. La tensione interna al gruppo è delineata con pochi tocchi ed è strumentale a evidenziare le pulsioni adolescenziali di Sam, solitario ma attratto da Jasmijn e in qualche misura geloso di lei. In questo contesto, il rapporto che Sam instaura problematicamente con Kai è cruciale nel liberarlo dalla repressione e nello sprigionare un turbato e confuso spirito di rivalsa. Nella seconda parte, notturna e tesa a catturare la parte più oscura dell'incubo, il film stempera le sue ambizioni metaforiche e psicologiche per dedicarsi alla creazione di una suspense un po' meccanica che ha più di qualche momento efficace, ma indulge in alcuni dei luoghi comuni dell'horror. La feroce conclusione è adeguata, anche se non proprio innovativa. L'esordio di Jonas Govaerts è comunque di quelli promettenti: dimostra di avere stile, di saper girare con padronanza e capacità e di saper gestire bene i vari momenti del racconto.
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