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Dopo il successo del libro inchiesta sullo scandalo italiano dell’ACNA, Hellmann sposta il tiro sull’annosa questione internazionale di Cuba. Obiettivo del libro, peraltro pienamente centrato, è quello di sviscerare, attraverso un’abbondante documentazione, i motivi che stanno dietro al secolare “terrorismo buono” degli Stati Uniti d’America nei confronti dell’isola caraibica. L’impostazione giornalistica, lo stile asciutto, chiaro e lineare sono ben amalgamati grazie ad un’insinuante vena di umorismo, tipico della prosa di Hellmann, che però non vuol essere affatto volontario ed irridente (visto che si parla della vita, bruciata o in pericolo, di migliaia di persone), bensì giocoforza generato dalla descrizione di eventi grotteschi, quale, ad esempio, la “reale” paura del governo statunitense di subire un’invasione militare da parte dei cubani… Un libro questo che non parla, se non per dovere di cronaca, di ideologie e di eroi. Certo, il dato incontestabile di partenza è che per il resto del mondo «la storia da raccontare non è più solo la storia di questa rivoluzione imperdonabile […]. C’è un’altra storia. Una storia di terroristi che non sono nemici della civiltà ma che, anzi, favoriscono “la diffusione della democrazia”» (p. 36). Proprio questo è il fulcro del libro; una tacita rivalutazione (critica, certo) del significato di democrazia unilaterale, ovvero di chi, in nome di un principio saldo e giusto, nasconde interessi privati e giochi di potere a discapito di tutto e di tutti. Ieri ed oggi Cuba, domani chissà, ma nell’intento dell’autore c’è sicuramente l’idea di personificare la difficile storia di quest’isola con l’umanità intera. In questi giochi di potere e nella teoria che li determina, detta appunto dei giochi, i primi a saltare sono inevitabilmente birilli e pedoni. Fallita la sensibilità degli obiettivi, non ci resta che sperare nell’obiettivo comune futuro della Sensibilità. (Roberto Di Pietro)
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