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Anno edizione: 2015
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recensione di Fornaca, R., L'Indice 1998, n. 6
Lo psicologo e pedagogista statunitense Jerome Bruner divenne famoso negli anni sessanta per avere sostenuto, in polemica con i seguaci di Dewey, che privilegiavano la socializzazione, l'opportunità di un'istruzione intellettuale e scientifica precoce, sulla base di una precisa identificazione degli stadi cognitivi, strutturati intorno all'azione, all'immagine, ai simboli astratti. Da allora il suo percorso è stato lungo e complesso, come dimostra anche questo libro, per il quale vale quanto scrisse nella prefazione a "La ricerca del significato" (Bollati Boringhieri, 1992): "I libri sono come vette di monti che spuntano alla superficie del mare: per quanto possano apparire isole a sé stanti, esse sono in realtà nient'altro che rilievi di una configurazione sotterranea".
"La cultura dell'educazione" si presenta come un lavoro ad ampio raggio nel quale vengono a convergere aspetti autobiografici, impostazioni maturate specie nell'ultimo decennio, strategie riguardanti la cultura, l'educazione, la scuola. Il discorso, anche sul piano argomentativo, si fa più articolato, nel senso di individuare i limiti dei modelli psicopedagogici che avevano stabilito rapporti privilegiati con la fisica, la biologia, la computazionalità, e di proporre, invece, le valenze della "psicologia culturale", attenta alle componenti autobiografiche e narrative: "Solo la narrazione consente di costruirsi un'identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata". Ne deriva un'attenzione particolare alle tecniche e agli assetti logici della cultura letteraria.
Centrale diventa la presa di distanza dagli impianti scientifici e metodologici legati a processi cognitivi standardizzati, oggettivi, schematici, categoriali. Non stupisce più di tanto l'affermazione che "il processo di fare scienza è narrativo"; la narrazione viene rivalutata "come modo di pensare, come struttura per organizzare la nostra conoscenza e come veicolo nel processo dell'educazione, e in particolare dell'educazione scientifica".
La revisione critica degli assetti cognitivi delle metodologie scolastiche lo porta ad approfondire tematiche che sono diventate, ormai, punti di riferimento delle nuove scienze dell'educazione, come le teorie della mente su cui Bruner aveva lavorato in "La mente a più dimensioni" (Laterza, 1988). Alcune affermazioni sono significative: "Il bambino (o chiunque altro) "possiede" una teoria della mente"; "Trattando il bambino come si sapesse che cosa ha in mente e dimostrando l'aspettativa che lui sappia cosa abbiamo in mente noi, gli consentiamo di progredire verso lo sviluppo di una teoria della mente utilizzabile". Si sa che su questo tema hanno insistito Howard Gardner e gli esponenti della teoria della complessità.
L'attenzione è spostata giustamente sulla mente, sulle teorie, sulle culture, sui contesti del narrativo, sulla complessità dei problemi educativi. In questo quadro acquistano rilievo le sue osservazioni relativamente all'educazione e alla scuola: "Ho cercato di dimostrare che l'educazione non è semplicemente una questione tecnica di buona gestione dell'elaborazione dell'informazione, né si può limitare all'applicazione di 'teorie dell'apprendimento' o all'impiego dei risultati di un test delle prestazioni centrato sul soggetto. È invece un'attività complessa, che si propone di adattare una cultura alle esigenze dei suoi membri e i loro modi di conoscere alle esigenze della cultura".
È senz'altro da tenere in grande considerazione la proposta di Bruner di impostare il discorso educativo e pedagogico con una documentata apertura al narrativo e, in particolare, alla cultura letteraria. Non sono tuttavia da sottovalutare, da un lato, i rischi di un'eccessiva curvatura sul raccontare, sull'aspetto autobiografico, e, dall'altro, di non tener conto che l'assetto linguistico ed epistemologico dei nuovi orientamenti scientifici, anche con l'apporto di Bruner, è completamente cambiato rispetto ai modelli scientifici a cui psicologia e pedagogia erano tradizionalmente legate.
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