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Il metodo di Said consiste nell’esaminare alcune opere letterarie per mostrare in esse il rapporto tra cultura e impero. Di Cuore di tenebra di Conrad, Said dice che “è così efficace perché la sua estetica e i suoi principi politici sono, per così dire, imperialisti". E’ vero il contrario: per Conrad l’imperialismo equivale ad una volontà di devastazione e di morte, e l’intera civiltà europea e la sua storia sono uscite da un atto di “robbery and violence”, ne sono state il prodotto e ora lo ripropongono. Jane Austen è accusata di fare in Mansfield Park una apologia del colonialismo. Ma nel libro della Austen il discorso sulle piantagioni coloniali è assolutamente marginale. Said condanna poi la mentalità imperialista di Dickens e l’ideologia reazionaria di Balzac. Anche l'Aida di Verdi sarebbe complice del progetto egemonico di vecchi e nuovi imperi. E’ evidente la debolezza della ricostruzione di Said, che arbitrariamente attribuisce significati ideologici impliciti ad opere che vengono interpretate in modo scorretto e isolate dal loro contesto. Said critica Camus per non aver inteso il carattere giusto e legittimo del moto di ribellione e di liberazione nazionale in Algeria. Se Camus non ha militato per l’indipendenza, ha sempre denunciato l’ingiustizia di cui erano vittime gli algerini e si augurava la fine del sistema coloniale. Per questo Camus resta una grande figura dell’anticolonialismo. Dai libri di Said si può trarre la conclusione che il problema del potere e della cultura, e delle loro turbolente relazioni durante la grande metamorfosi del mondo contemporaneo, è troppo importante per essere lasciato solo alla critica letteraria.
Recensioni
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recensioni di Concilio, C. L'Indice del 2000, n. 06
Edward W. Said, Cultura e imperialismo, ed. orig. 1993, trad. dall'inglese di Stefano Chiarini e Anna Tagliavini, prefaz. di Joseph A. Buttigieg, postfaz. di Giorgio Baratta, pp. 421, Lit 49.000, Gamberetti, Roma 1998
Cultura e imperialismo è un titolo programmatico. La "e" da sola regge un'architettura invisibile, quella che Said chiama "la struttura di atteggiamento e di riferimento": una struttura fatta di legami più o meno espliciti, di rimandi più o meno forti, di osmotica intercapillarità tra la cultura occidentale otto- e novecentesca, in particolare inglese e francese, ma anche italiana e americana, e l'imperialismo inteso come momento di massima espansione geografica, politica ed economica dell'Occidente. Il prodotto culturale che maggiormente chiarisce questo rapporto tra cultura e storia coloniale è il romanzo, forma letteraria attraverso cui la cultura imperialista parla e si fa parlare, o meglio, si fa parola/moneta corrente.
Oggetto d'analisi privilegiata, per Said, sono i testi canonici del patrimonio letterario occidentale prodotti nell'epoca di maggior espansione coloniale. La dialettica polemica di Said e il suo metodo contrappuntistico non sono volti a liquidare il "canone occidentale" o a sminuire il valore estetico di opere consegnate dai secoli alla storia della letteratura e dell'arte, ma a mettere in luce un aspetto di tali opere spesso trascurato, ignorato e, questo sì, liquidato da critici, intellettuali e accademici: come scrittori illuminati, liberali e progressisti non abbiano contestato le teorie sull'esistenza di razze "soggette" o "inferiori" in voga al tempo in cui loro scrivevano, né abbiano saputo intravedere nelle varie forme di resistenza all'occupazione coloniale le vere potenzialità della decolonizzazione.
"Il mio metodo - scrive Said - consiste nel prendere in esame, quanto più è possibile, le singole opere, leggendole dapprima come grandi prodotti dell'immaginazione creativa o interpretativa, e poi mostrandole come parte del rapporto tra cultura e impero". Dunque, il canone in quanto canone e il suo rapporto con l'impero. Di uno dei capolavori di Conrad, Said scrive: "Cuore di tenebra è così efficace perché la sua estetica e i suoi principi politici sono, per così dire, imperialisti, e questi alla fine dell'Ottocento parevano incarnare al tempo stesso una estetica, una politica e perfino un'epistemologia inevitabili e ineluttabili". Il paradosso di Conrad, che consiste nell'essere sia imperialista sia anti-imperialista, sembra scontato oggi, soprattutto a chi si occupa di letterature cosiddette "postcoloniali" e conosce le risposte che il romanzo di Conrad ha generato tra gli intellettuali e scrittori africani, basti ricordare il keniano Ngugi Wa Thiong'o con il suo romanzo The River Between (1965), in cui il fiume è luogo mitico per gli africani, il nigeriano Chinua Achebe con i suoi pamphlet anti-conradiani (ad esempio An Image of Africa.Racism in Conrad "Heart of Darkness", 1989) e il sudanese Tayeb Salih con La stagione della migrazione a nord (1970; Sellerio, 1992), in cui il fiume conradiano è il Nilo e il viaggio è quello di un sudanese verso l'Europa.
Ma Said allarga il discorso fino a includere romanzi e autori insospettabili. In Mansfield Park, ad esempio, Jane Austen introduce il tema dell'Impero in modo sommesso. Lo stato di benessere materiale dei Bertram si misura infatti sul reddito garantito dalle loro proprietà ad Antigua, la piccola isola dei Caraibi dove posseggono una piantagione, probabilmente di zucchero. Il romanzo è basato su un modello di ordine che Sir Thomas riesce a imporre tanto nelle sue piantagioni di Antigua quanto nella residenza di campagna in Inghilterra: Mansfield Park. Il discorso implicito adombrato da Jane Austen "sincronizza qui l'autorità interna, in patria, con quella coloniale, sottolineando come i valori associati a così alti concetti quali l'ordine, la legge e la proprietà debbano essere radicati fermamente nell'effettivo controllo e possesso del territorio".
In Grandi speranze di Dickens, il giovane protagonista, Pip, aiuta un condannato, Abel Magwitch, il quale, dopo esser stato deportato in Australia, ripagherà il suo giovane benefattore con una grande somma di denaro. Quando Magwitch torna a Londra non trova in Pip, ignaro della provenienza del denaro, la benevolenza che si aspettava, e ci vorrà del tempo prima che Pip si ravveda e riconosca in lui una sorta di padre putativo. Nel personaggio di Magwitch Dickens ha rappresentato l'atteggiamento che in Inghilterra si aveva verso i condannati deportati in Australia. Secondo Said, "negare a Magwitch la possibilità di ritornare in Inghilterra non è solo un atto giuridico a carattere penale, ma imperialista".
Anche l'Aida di Verdi risente delle medesime strutture di atteggiamento e riferimento. La rappresentazione dell'Egitto viene costruita tenendo ben presente che l'opera si rivolge a un pubblico occidentale, e presenta al suo interno tutte le contraddizioni già riscontrate nell'opera di Austen, Dickens e Conrad. Neppure Forster, e tantomeno Kipling, Camus e Gide vengono risparmiati dalla graffiante critica di Said, che denuncia la loro assuefazione al colonialismo, accettato come necessario, e spesso giustificato in relazione al caos e alla pigrizia che regna nelle colonie. Soprattutto di Forster e Camus, Said critica la scarsa lungimiranza per non aver inteso come i moti di ribellione e di liberazione nazionale in India come in Algeria non fossero ispirati da qualche isolato folle, fanatico oltranzista, ma fossero movimenti organizzati che di lì a poco avrebbero dato il via al processo irreversibile della decolonizzazione.
Il capitolo dedicato a Yeats serve in questo volume da raccordo tra la sezione dedicata alla cultura imperialista e all'espansione coloniale e la sezione dedicata alla resistenza e alla decolonizzazione. Il primo moto di resistenza al colonialismo si manifesta nelle opere letterarie quale riappropriazione del territorio, e dunque si risolve in una cartografia immaginaria. La raccolta di poesie di Yeats La rosa è paragonabile alle opere di Neruda dedicate al paesaggio cileno, a quelle di Césaire sulle Antille, di Faiz sul Pakistan, di Darwish sulla Palestina. A questa fase succede quella più aggressiva, espressamente nazionalista e violenta, che cede poi il passo alla lotta per la liberazione e alla decolonizzazione.
Da Yeats, o con Yeats, Said procede all'analisi di tutti quei discorsi che hanno origine nei territori coloniali in coincidenza dei processi di decolonizzazione attuatisi tra la prima e la seconda guerra mondiale. Said non prende in esame esclusivamente opere letterarie, bensì gli scritti di storici e storiografi, sociologi ed economisti le cui teorie sono una risposta a - oltre che una riscrittura di - storie e teorie eurocentriste. Per questo si dice che l'ex-impero - britannico, francese, ispanico o americano che sia - "writes back", risponde. Per esempio il libro di Ranajit Guha A Rule of Property For Bengal (1963) o quello di S.H. Alatas The Myth of the Lazy Native (1977) offrono dalla prospettiva indigena una visione alternativa della storia della colonizzazione occidentale, cercandone le radici in quelle teorie economiche e antropologiche che tra fine Ottocento e inizio Novecento riducevano i nativi a esseri inferiori, incapaci di organizzare la forza lavoro e di autogovernarsi.
Said non esclude dal suo metodo critico i fatti recenti e più attuali della storia contemporanea, come la Guerra del Golfo o la crisi della Palestina. Lo fa con quella stessa "forza tellurica" che Derrida attribuisce alla decostruzione, che si avvale cioè di un metodo critico atto a smuovere o rimuovere pre/giudizi consolidati, lo stesso metodo critico che ha generato le opere di Fanon o di Homi Bahbha.
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