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Il 27 settembre 1806 il Molise è ancora sconvolto dal terremoto che l'aveva colpito il 26 luglio dell'anno precedente, e Giuseppe Bonaparte ne decreta la separazione dalla Capitanata, costituendo la provincia autonoma. La ricostruzione, guidata da figure eminenti quali Vincenzo Cuoco, impone all'architettura regionale di segnare una discontinuità dalla tradizione: ovvero il passaggio dai modi di una produzione ancora tardobarocca, intrinsecamente incline alla conservazione di cadenze locali, a quelli di un nuovo classicismo che si propone come linguaggio artistico universale. Le conseguenze del sisma e della nascita della provincia sono di gran rilievo anche per la storia urbana dei centri molisani. Campobasso, ad esempio, deve dotarsi di una serie di sedi istituzionali e di nuove residenze, cosicché l'espansione della città fuori dalle mura medievali è l'unica soluzione possibile. Cuoco si augura che tale sviluppo quasi una rifondazione sia pianificato con rigore secondo i modelli della cultura illuministica francese, e che in tale forma sia accettato dai detentori del capitale fondiario, i cosiddetti "demanisti". Non sarà così, e dall'atto del 1814 con il quale Gioacchino Murat decreta la realizzazione della nuova Campobasso, si dovrà attendere il 1856 per il definitivo accordo con i "comunisti" (i sostenitori della necessità di limitare nell'interesse pubblico il diritto di superficie dei proprietari) e per l'istituzione del consiglio edilizio che da allora regolamenterà lo sviluppo della città. Accanto alla storia urbana del capoluogo, il libro esamina anche quella di Isernia, Termoli e Trivento, a loro volta differenti per dimensioni, posizione geografica e vocazione economica. I saggi specifici riescono a comporre un panorama articolato che, almeno per l'avvio del XIX secolo, rende meno sfuggente il profilo culturale di territori storicamente di passaggio.
Alessio Monciatti
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