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Anno edizione: 2019
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Scrive il profeta Amos: «Come un pastore salva dalla gola del leone due zampe o un brandello d’orecchia, così saranno salvati i figli d’Israele». In questa paradossale immagine di un’esile salvezza tra le fauci della rovina è il centro delle riflessioni di Sergio Quinzio, «credente nella verità cristiana sine glossa», che nelle pagine di questo libro si spinge a «farsi le più difficili domande circa la fede, quelle che non avrebbe mai osato». Nulla di più estraneo, dunque, a quel cristianesimo oggi corrente che si presenta come «rilancio mondano di ogni genere di trionfali sacralità». Qui, al contrario, l’insistenza sulla speranza lungamente delusa, sulla contraddizione non sanata, sul dolore irrecuperabile e sulle devastazioni della morte avvicinano Quinzio al più temerario discrimine: quello fra l’invocazione del Regno e la blasfemia. Simile, qui più che mai prima, anche per la forma spezzata, aforistica, narrante che la sua prosa assume, a certi maestri chassidici, insieme tenerissimi e violenti, che erano pronti a insultare Dio pur di non diminuirne in nulla l’incombente, oscura e impenetrabile maestà, Quinzio ha raggiunto in queste pagine la massima esasperazione dei suoi temi, scrivendo una testimonianza che spicca nella sua solitudine.
Titolo: Dalla gola del leoneAutore: Quinzio SergioEditore: AdelphiData: 1980Milano, prima ed., Piccola Biblioteca Adelphi, n. 105, in 16°, bross. edit. con bandelle, piccola rottura e lievi gore in cop.
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"Non esistono più maestri, chi è nella condizione di dire qualcosa non può dire ormai che parole chiuse nell'orrore, non più parole d'insegnamento". L'orrore che ferisce in queste pagine è "lo scandalo del male, anche del male piccolo", che esiste ingiustificato e ingiustificabile, l'ingiustizia della morte, il fallimento di Dio. Si tratta quindi di un libro religioso, scritto nell'unica maniera in cui si può scrivere oggi un libro religioso: nella disperazione, nel dubbio, nel rifiuto della logicità. E la proposta dell'autore è appunto a-logica, insostenibile: accettare la fede proprio perché inaccettabile, continuare a sperare perché la speranza è finora stata delusa, salvare un Dio che non sa salvare. Libro lontano dal cristianesimo odierno inteso come "rilancio mondano di ogni genere di trionfali sacralità", un cristianesimo che mentendo anche a se stesso pubblicizza l'immagine di un Dio pietoso ma impotente nei confronti del dolore umano, battuto dal male che lui stesso ha creato. Un dio umiliato, fallito, che ha promesso per millenni una salvezza che non arriva mai, è un dio "che fa tenerezza", proprio perché l'altro Dio, quello trionfante, quello celebrato dalla Chiesa, offeso dal peccato e non dalla sofferenza umana, è incomprensibile, la sua presenza è ingiustificabile. Quel Dio, creando il male e il dolore per i suoi fini imperscrutabili, si è condannato alla sconfitta. Non può pretendere di essere amato da uomini che ha condannato alla disperazione, all'attesa vana, al nulla. Quelli che soffrono non sono più vicini a Dio, come insegna la tradizione cristiana, ma se ne allontanano, incapaci si sperare, aridi; il dolore come mezzo in vista di un fine diventa un'empietà, e non esiste niente che possa spiegarne l'esistenza. Ciò che Quinzio salva "dalla gola del leone" non è tanto una qualsiasi speranza di salvezza, di riscatto o di vita oltre la morte, quanto il senso di ribellione all'assurdo di un'esistenza destinata a scomparire, a non essere niente.
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