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<p>288 p. ; 20 cm. 400 - Ba</p> in ottavo 9788830414921 Ottimo (Fine) .
recensione di Vitale, A., L'Indice 1998, n.10
Vi siete mai fatti "spulciare" da una scimmia? Pare che sia un'esperienza unica: ci si abbandona alle sensazioni che si provano "sulla coscienza della mente, da qualche parte nella profondità dell'essere". Così suggerisce Robin Dumbar, celebre primatologo dell'Università di Liverpool, autore di questo stimolante libro. Dumbar, studioso dell'evoluzione della socialità nei primati non-umani, negli ultimi anni è diventato molto attivo nel campo della divulgazione scientifica, con un linguaggio accessibile e poco accademico (si ricorda anche "Non sparate sulla scienza", primo volume della collana a cui appartiene anche il testo qui recensito). Un plauso va anche alla agile traduzione di Libero Sosio, anche se dobbiamo notare che il titolo originale era molto più appropriato ai contenuti del libro ("Grooming, Gossip and the Evolution of Language").
Questo volume ha lo scopo di indagare sui rapporti evolutivi fra dimensioni del gruppo sociale, sviluppo della neocorteccia (una specifica parte del cervello) ed evoluzione del linguaggio, passando attraverso l'attività di pulizia sociale del pelo (comune tra le scimmie) che, secondo l'autore, sarebbe la base per capire l'evoluzione del linguaggio nella nostra specie. Questa indagine viene articolata secondo quattro punti chiave: 1) fra i primati la dimensione del gruppo sociale è limitata dall'estensione della neocorteccia; 2) lo stesso avviene per la specie umana; 3) la pulizia del pelo fra i primati non-umani serve a mantenere unito il gruppo; 4) il linguaggio nella specie umana si è evoluto in sostituzione della pulizia sociale, impraticabile per gruppi troppo numerosi. Questi punti sono sviluppati lungo un ragionamento, facile da seguire, che prende forma piano piano nei dieci capitoli che compongono questo volume. I primi capitoli sono per lo più introduttivi e ci portano dagli altipiani africani, dimora dei babbuini studiati a lungo da Dumbar, fino ai laboratori americani nei quali si studia il linguaggio degli scimpazé, con un passaggio obbligato per la teoria darwiniana dell'evoluzione. L'intento è quello di raccontare vari aspetti della vita sociale dei primati non-umani. Dal quarto capitolo, intitolato "Cervelli, gruppi e evoluzione", l'autore affronta di petto la sua ipotesi di lavoro. Una volta tracciata una correlazione fra dimensione delle neocorteccia e dimensione del gruppo sociale nelle scimmie, la domanda che segue è: "Dove si situano gli esseri umani?". La sorprendente risposta è che il valore predetto per la dimensione del gruppo sociale nella specie umana in relazione allo sviluppo della neocorteccia, tenuto conto di questa relazione per le altre scimmie, concorda con il valore osservato in diversi tipi di culture. Dumbar sostiene che 150 sia il numero massimo di individui che possono formare un gruppo sociale di "Homo sapiens", i cui componenti possono intessere relazioni interpersonali. A questo punto però sorge un problema. Nelle scimmie l'attività di pulizia reciproca del pelo serve a mantenere e rinforzare le relazioni sociali tra i membri del gruppo. Questa attività, visto il progressivo aumentare della dimensione del gruppo sociale durante l'ominazione, non è più un'attività efficiente in questo senso per la nostra specie. Ed ecco che, secondo Dumbar, il linguaggio entra in scena. Mediante il linguaggio la specie umana riesce a scambiare informazioni anche tra individui a grande distanza, mantiene saldi i legami familiari e affettivi, diffonde informazioni socialmente rilevanti. Insomma, serve a tessere tutti quei legami propri di una società umana, così come la pulitura del pelo in una società di primati non-umani.
L'ipotesi di Dumbar è indubbiamente stimolante e provocatoria. Si può però obiettare che l'autore qua e là si fa trascinare dall'entusiasmo, arrivando velocemente a conclusioni un po' speculative rispetto ai dati, ben documentati, di partenza. Per esempio, non è detto che la correlazione positiva tra dimensioni del gruppo e tempo passato a spulciarsi sia una correlazione causale. Inoltre sembra che Dumbar sottovaluti nella sua analisi l'importanza della comunicazione vocale in diverse specie di scimmie. E ancora: come mai l'orango, dotato di una neocorteccia molto sviluppata, ha una vita sociale molto poco complessa? Questo è un dato che manca nel grafico di Dumbar.
Nonostante questi dubbi, questo libro è un'opera molto godibile, adatta a un pubblico anche di non specialisti, arricchito da interessanti note per ogni capitolo. Lo scopo della collana Longanesi "La lente di Galileo" è quello di fugare il timore che il grande pubblico ha verso temi scientifici: Robin Dumbar ha assolto questo compito con grande chiarezza.
Agli albori della storia, nell'ambiente ostile delle savane era indispensabile formare grandi gruppi per far fronte al pericolo dei predatori. Questo fecero sia i primati sia i loro parenti più stretti, gli uomini. Ma mentre per i primati la comunicazione e la coesione del gruppo è affidata soprattutto alla reciproca pulizia, l'uomo ha sviluppato un sistema più elaborato ed efficace: il linguaggio.
E "se le femmine hanno formato il nucleo dei primissimi gruppi umani, e il linguaggio si è evoluto proprio per cementarli, ne consegue che i primi esseri umani a parlare devono essere state le femmine", dice l'autore. E il linguaggio può essere stato adottato dai maschi per mettere in mostra le proprie doti e farsi scegliere come partner. Se l'abilità del maschio in quest'attività ha qualche relazione con l'intelligenza e col linguaggio, la scelta da parte delle femmine ha influito in modo determinante, attraverso la selezione sessuale, sull'evoluzione dell'intelligenza, del cervello e del linguaggio stesso di noi tutti, fino ai nostri giorni.
Dunbar ci accompagna in un viaggio misterioso che ci farà rimbalzare da un angolo all'altro della nostra biologia, dalla storia agli ormoni, dal comportamento estremamente pubblico delle scimmie ai momenti di massima intimità della specie umana, e che ci riserverà non poche sorprese.
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