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Con "La Nuova Europa", settimanale realizzato da Salvatorelli negli stessi convulsi mesi del 1944, la più duratura esperienza del mensile "Il Ponte" ha molti tratti in comune: il contesto fiorentino nel quale si muovono i suoi ideatori (Calamandrei, Tumiati e Pancrazi), i numerosi collaboratori, nati quasi tutti nell'ultimo decennio dell'Ottocento, ma soprattutto il disegno di un risveglio etico-politico dopo vent'anni di dittatura. Pur non trascurando il confronto con il panorama internazionale (con numeri monografici, di cui il primo sulla Germania), l'accento batte sull'esigenza di un ripensamento critico per una parte di quella generazione intellettuale che, formatasi prima del fascismo, aveva vissuto ai suoi margini senza dare aperta battaglia. Il titolo della rivista, che evoca l'episodio della resistenza fiorentina all'assedio nazista, è metafora di un progetto culturale, quello di collegare il passato all'avvenire, di sciogliere il viluppo degli itinerari di molti collaboratori, non tutti lineari o specchiati, di rivendicare la superiorità della fiducia nella persona e nella moralità. Si va allora in cerca dei propri padri spirituali più che politici e ci si concentra sul solidarismo sociale e umanitario del primo Pascoli, di De Amicis e di Turati, oppure si richiamano esempi di illustri "resistenti" (Nello Rosselli, Gramsci, Dorso, Buonaiuti), senza però omettere proposte discordanti o alternative (Capitini, De Bosis). Lo sguardo, dalla piccola patria toscana, tratteggiata con gusto per la storia sociale, si allarga all'"altra Italia", centro di una "memoria costituente" costellata di esistenze poste al bivio della scelta/non-scelta partigiana, fino a giungere all'Europa. In queste prime annate, l'ansia di uno stacco radicale è percepibile a ogni pagina, rivendicando i valori da difendere dall'oblio della "desistenza".
Alessia Pedio
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