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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2014
La danza classica ha una data di nascita precisa e un padre nobilissimo. Fu Luigi XIV, appassionato ed esperto ballerino, a fondare a Parigi, nel 1661, l'Académie Royale de Danse. Per il giovane re, la danza è una disciplina insostituibile per abituare il corpo a compiere con elasticità ed eleganza ogni tipo di esercizio, tanto mondano quanto militare. Insegna infatti sia quel controllo di sé che permea tanto l'etica dei moralisti classici che la rigida etichetta praticata nei saloni di Versailles, sia la precisione matematica del gesto nella pratica del duello sui campi di battaglia. È inoltre l'unica attività fisica permessa alle donne, l'arte che, insieme a quella della conversazione, le mette in condizione di partecipare al gioco della galanteria mondana. Soprattutto, la danza è parte essenziale dello spettacolo di corte, cui attribuisce dinamismo, fantasia, possibilità di variare all'infinito le risorse della scena teatrale. Con il grande Luigi, la danza si emancipa del ruolo subalterno di ornamento della scena e inizia a parlare con un proprio autonomo linguaggio. Il volume di Flavia Pappacena prende le mosse dal balletto francese secentesco per indicare subito come, fin dalla sua nascita, esso rispecchi un modello politico ed estetico, quello sotteso al regno del Re Sole: ordine, razionalità, disegni geometrici, decoro, rimandano all'ideale classicheggiante che voleva fare di Parigi la nuova Atene. L'Académie fissa inoltre in un codice le posture e i movimenti del corpo nell'atto della danza. Termini destinati a diventare l'abc del suo linguaggio, come aplomb, en dehors, attitude, lo stesso chorégraphie, sono stati coniati dai maîtres à danser secenteschi. L'autrice rende puntualmente conto della ricca trattatistica prodotta in materia.
Il prestigio del fondatore dell'Académie fa di Parigi, a partire dalla fine del Seicento (e tale resterà fino a una parte preponderante dell'Ottocento), il punto di riferimento della danza europea. Segno inconfondibile dell'egemonia francese nel campo della danza fu la diffusione delle scuole e delle accademie che nascevano o da coreografi francesi ingaggiati dai teatri di corte, o da coreografi che alla scuola francese si erano formati, come Giambattista Dufort a Napoli, Gaetano Grossatesta a Venezia, altri ancora a Stoccarda, a Berlino, a Londra. Persino in Italia, dove già esisteva una tradizione autonoma sia nella tecnica coreutica che nella creazione di balletti, si impose lo stile francese. Non sorprende quindi la scelta di Pappacena di concentrare la sua ampia e documentatissima ricerca entro un ambito geografico tradizionalmente considerato come punto di riferimento ogni volta che si intraprenda uno studio della danza classica.
Quella che subito si segnala invece come originale e interessante è la scelta di risalire alle origini del suo linguaggio ricostruendo due linee di sviluppo che si affiancano e si intrecciano. Da un lato la continuità della tradizione accademica, che assume valore di codice con le opere di Lully, dall'altro la continuità con la tradizione della danza di sala, piacere condiviso da ballerini appartenenti alle classi sociali elevate. L'ampio spazio dedicato allo sviluppo settecentesco della danza evidenzia l'importanza assunta da tale disciplina artistica nell'insieme delle arti legate al teatro. Come accadde anche negli altri ambiti spettacolari, il Settecento rimescola tutte le carte e si distacca dalla tradizione di corte, modello declinante, per compiacere un pubblico più vario e dai gusti più compositi. I bals publics, inaugurati al tempo della Reggenza e divenuti un appuntamento fisso per i parigini, introducono nella danza nuove forme, più libere e articolate, ispirate ai balli popolari. I temi comici, quelli folklorici, esotici e fiabeschi, connaturati allo stile francese, hanno le loro prime occorrenze proprio in quel secolo e lo caratterizzeranno fino alla fine dell'Ottocento.
L'Illuminismo sovverte il linguaggio della danza così come fa con tutte le altre discipline teatrali: alla rigorosa geometria del classicismo i coreografi contrappongono la libertà espressiva, le linee curve, l'effusione sentimentale, predilette dall'estetica settecentesca, il culto della grazia e il valore dell'espressività cari a Diderot. Un giustissimo rilievo viene assegnato alla riforma di Jean-George Noverre, teorico e coreografo nel quale, a distanza di due secoli un filosofo della danza, Maurice Béjart, ha indicato il padre della danza moderna. Il capitolo dedicato alla figura di Noverre costituisce in sé un importante contributo italiano allo studio di questa fondamentale figura della storia della danza, ma non solo. Viene infatti puntualmente sottolineata nel volume l'importanza che l'arte coreutica assume nella formazione dell'attore: il Settecento anticipa quella commistione fra danza e recitazione che sarà costitutiva delle avanguardie novecentesche.
Al bel volume di Pappacena va il merito di ricostruire con chiarezza e competenza il percorso compiuto dalla disciplina della danza dall'intrattenimento di corte fino a una piena autonomia linguistica ed estetica. Ma, più in generale, questo studio consente di integrare il quadro della vita teatrale sei e settecentesca con l'apporto essenziale della storia e della teoria di una disciplina artistica strettamente e attivamente collegata ai fenomeni spettacolari nel loro complesso.
Mariagrazia Porcelli
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