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Per circa un decennio, dal dicembre 1942 al 1951, Herbert Marcuse fu, insieme ad altri noti esponenti dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte (da Franz Neumann a Friedrich Pollock, da Leo Lowenthal ad Arkadij Gurland), un attivo collaboratore dei servizi di intelligence degli Stati Uniti, dove insieme a molti altri intellettuali tedeschi d'origine ebraica si era rifugiato, a partire dal 1937, per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste. Nell'assumere tale incarico di analista della società e della cultura tedesche dominate dal nazismo, la sua funzione, come si legge in una lettera inviata a Horkheimer dallo stesso Marcuse nel novembre del 1942, sarebbe stata quella "di fornire suggerimenti su 'come presentare il nemico al popolo americano', nei giornali, nei film di propaganda ecc.". Parte dei materiali prodotti dal filosofo tedesco in quel periodo (che negli anni sessanta gli sono anche valsi l'accusa d'essere stato un agente della Cia) sono stati rintracciati nel Marcuse-Archiv e tradotti, per la prima volta in lingua italiana, da Raffaele Laudani, insieme ad alcuni altri saggi coevi e ad un breve e drammatico scambio epistolare con Heidegger: tutti insieme forniscono al lettore non solo preziose indicazioni sull'originale lettura marcusiana del nazismo, ma utili elementi per la comprensione della sua complessa biografia intellettuale e della sua futura produzione saggistica.
Con il nazismo Marcuse si era filosoficamente misurato sin dal 1934, con il celebre saggio su La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria dello Stato, nel quale il totalitarismo hitleriano, a dispetto della sua mistica eroico-popolare e della sua costante invettiva anticapitalista, veniva considerato non un antagonista diretto del liberalismo borghese, ma una sua naturale evoluzione nel contesto del processo di transizione dal capitalismo competitivo e anarchico al capitalismo monopolistico. Nei due testi del 1942 Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo e La nuova mentalità tedesca, tra i più interessanti della raccolta, l'analisi sulla continuità, in termini politici e sociali, tra i due modelli ideologico-organizzativi liberal-borghese e totalitario viene integrata da puntuali osservazioni sul carattere "modernizzatore" del nazismo, che se non fu rivoluzionario dal punto di vista della struttura produttiva, degli interessi di classe e delle relazioni di dominio, fu comunque profondamente "innovatore" sul piano psico-antropologico, della mentalità, individuale e collettiva, della stessa morale sociale.
Con l'obiettivo di promuovere un ordine totalitario finalizzato, secondo Marcuse, all'efficienza tecnica, allo sviluppo produttivo e all'espansione imperialista, ordine basato non sullo Stato, ma sul Movimento, sul Partito e sul Führer, il nazionalsocialismo spinse sul pedale dell'individualismo più estremo, perseguendo una politica paradossalmente "emancipativa" e "liberatoria" che colpì i costumi, i modelli pedagogici e le forme morali tipiche della società autoritaria borghese tradizionale, abolì antichi tabù sessuali, favorì lo scatenamento degli impulsi e delle pulsioni più estreme, rimosse le forme di deferenza sociale caratteristiche della Germania guglielmina. Una liberazione - sostiene Marcuse - solo apparente, in realtà funzionale alla nuova forma di dominio totale basato sulla tecnica perseguita dal nazismo, la cui discontinuità rispetto al precedente ordinamento borghese fu dunque soprattutto d'ordine culturale e antropologico e si concretizzò nella diffusione fra la popolazione tedesca di un nuovo status psicologico, di una nuova mentalità, basata sul disincanto più estremo, su "una razionalità che misura ogni argomento in termini di efficienza, successo e utilità", su un cinico pragmatismo, su una perversa miscela di antintellettualismo völkisch e di naturalismo paganeggiante, su una sorta di fatalismo catastrofico e, per finire, sull'abolizione di ogni morale socialmente condivisa.
Quanto alle radici, dal punto di vista storico-culturale e filosofico, di questa nuova mentalità, sono da rintracciare, secondo la genealogia fissata da Marcuse nel testo del 1940 La filosofia tedesca nel ventesimo secolo, nei diversi indirizzi che hanno coltivato, portandola alle conseguenze più estreme, la critica al razionalismo tipico della modernità. Come nota Galli nella premessa al volume, non è il nichilismo (alla maniera di Leo Strauss e di Karl Löwith) la chiave di lettura del nazismo preferita da Marcuse, quanto, alla maniera di György Lukács, lÆirrazionalismo filosofico sviluppatosi dalla crisi della cultura tedesca classica del XIX secolo verso molteplici direzioni: la nuova psicologia freudiana, lo storicismo weberiano, la fenomenologia di Husserl, l'antropologia filosofica di Scheler, l'esistenzialismo heideggeriano. Nell'interpretazione di Marcuse, l'irrazionalismo che ha fornito legittimità e copertura alla svolta politica totalitaria degli anni trenta va considerato frutto del distacco della filosofia borghese dal potenziale emancipatorio e "progressista" intrinseco alla modernità politico-filosofica, potenziale al quale invece Marcuse, dal canto suo, non ha mai smesso di richiamarsi, come si evince, ad esempio, dalla lettura delle 33 tesi del 1947: un originale tentativo di adeguare la teoria rivoluzionaria del marxismo al contesto geopolitico scaturito dalla conclusione della seconda guerra mondiale.
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