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Molto interessante, una vera miniera di notizie ma troppo confuso, oppresso da un montaggio quasi ejzenstejniano che prevale sul contenuto, contorto e poco comprensibile in alcuni punti e strabordante nel voler mantenere tutto il libro in equilibrio instabile su un registro ironico che rende protagonista non tanto Maiakovskij quanto l'autrice. Peraltro indiscutibilmente bravissima, nonostante l'inspiegabile scelta di inserire nel testo molti brani del poeta con traduzioni diverse da quella, meravigliosa e insuperabile, di Angelo Maria Ripellino. Impossibile non citare le note, pessimamente organizzate, di difficilissima lettura e consultazione, e l' incomprensibile assenza dell'indice dei nomi.
Un foro rosso appena sopra il capezzolo sinistro, a sporcare e forse migliorare "la sgargiante blusa gialla cucita con tre metri di tramonto". Lo trovarono così in quella stanza, "solo come l'ultimo occhio di chi va in cerca di ciechi". Pensare immobile dentro un letto un uomo di quella disumana bellezza, una colonna maschia degna del grido delle statue più perfette, sguardo davanti al quale anche il fuoco più crepitante avrebbe chinato la sua fiamma, smuove ancora adesso, a decenni di distanza, possenti brividi d'assurdo. Ma tutto era come un annuncio quasi in ogni suo verso: "Voglio essere capito nel mio paese./E se è impossibile pretesa, poco importa./Per il paese passerò di sbieco,/quasi obliqua pioggia". Quando la vita dà alloggio a certe menti, ospita risa e spasmi di uomini siffatti, e quando poi, così presto, ne tocca amaramente la fine, ogni passo che ne succede è lacrima di deserto, sconfitta sociale, un'epoca intera marcita sotto il tacco eterno dell'ingiusto. Ma un fatto è senz'altro certo, e cioè che anche la morte accolse quest'uomo "a piena voce", persa e innamorata di quella libertà che lo travolse e lo guidò in ogni attimo, musa troppo vorace per consegnarsi a inutili contegni, a bussole misurate: "Io, svuotacessi e acquaiolo,/dalla rivoluzione mobilitato,/lasciai le nobiliari serre della poesia,/donnetta capricciosa,/per il fronte..../Per voi agili e sani/il poeta ha leccato gli sputi della tisi/con la scabra lingua del manifesto". Pur dentro la sua indagine nel duro gioco della cronaca e nei meandri di un fragile mistero, questo libro va amato come si ama e si amerà sempre lui, come un prolungamento dei suoi poemi urlati, della sua penna ruggente contro le grette arene edulcorate d'ottuso e l'elegante lebbra di un mondo che un solo poeta poteva tenere appeso in tre dita, ma verso cui fu clemente togliendosi lui da quegli spalti insensati. La vita è troppo piccola per spiriti abitati da una rarità eccezionale. Niente pettegolezzi per favore!
Raccolta di quattro trattati del maestro domenicano. Probabilmente il migliore modo per introdurre Meister Eckhart a chi non lo conosce e per facilitare la comprensione degli altri suoi scritti, come i sermoni.
Recensioni
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Un omicidio, un suicidio, semplicemente una morte? Serena Vitale ci parla di Majakovskij, poeta dell’avanguardia russa, espressione culturale di quella rivoluzione bolscevica che modificò il destino della nazione euro-asiatica e dell’intera area orientale.
Odiato, amato, eccentrico, sbruffone, genio assoluto. Se ne sono dette tante sul suo conto, in fondo è il destino dei grandi. Sul loro conto il giudizio dei posteri non è mai unanime e Majakovskij non è stato sottratto a questa sorte. Ma la Vitale parte dalla sua morte. 14 aprile 1930. Quel giorno il trentasettenne poeta russo si tolse la vita. O meglio questa è la verità ufficiale. Ma potrebbe essere successo altro?
Sia ben chiaro, l’autrice non impone una sua tesi, si limita solo a presentarci un caso. Tramite articoli e documenti che fino al 1991 sono rimasti custoditi negli inaccessibili archivi dell’ex Unione Sovietica, vengono ricostruiti i giorni che precedono e susseguono la morte del poeta. Una vita ingarbugliata la sua, in cui si intrecciano amori, invidie e per l’appunto pettegolezzi. Proprio quelli che lui odiava.
Ma la Vitale va oltre. Ci consegna un Majakovskij inedito che nessuno ha mai conosciuto. Ci fa entrare nel suo intimo. Veniamo a conoscenza del suo carattere egocentrico. Il poeta russo era uno scrittore che mal digeriva le critiche. Era un amante possessivo. Un uomo perennemente in crisi, dilaniato dai sensi di colpa, dalla paura di rimanere solo e di perdere la popolarità. Bastava poco per ferire questo “compagno” alto più di un metro e novanta.
Particolarmente interessante è anche il modo in cui la Vitale ci fa entrare in questa storia. Le testimonianze degli amici e delle amanti di Majakovskij vengono disseminate con attenzione nel testo. Né se ne fa abuso, né vengono prese per oro colato. Questo perché lo scopo dell’autrice non è quello di ricostruire un’indagine ma di farci conoscere esaustivamente un fatto sepolto da ottantasei anni di silenzio.
Alla fine del libro non arriveremo a nessuna conclusione. Non sapremo mai se Majakovskij si è ucciso o è stato assassinato perché inviso al Cremlino. Sono solo dei sospetti e tali rimarranno. Come detto, lo scopo del libro è un altro. Farci conoscere un uomo, un poeta, la sua nazione e la sua epoca.
Chi non conosce Majakovskij se ne farà un’idea, chi lo ha sempre apprezzato ne rimarrà ancor più affascinato.
Recensione di Martino Ciano
Vincitore Premio Mondello 2016 - Critica
L’autrice è riuscita a fare della morte, nel 1930, del poeta russo Vladimir Majakovskij un giallo appassionante. Con articoli di giornale, testimonianze, e piantina del luogo del «delitto». - Vanity Fair
Majakovskij non "mise alla prova" il destino. Quanto alla mano - la destra o la sinistra - con cui si sparò... Si sparò al cuore. Questo conta.
Serena Vitale punta la lente del suo cannocchiale sulle lancette di un orologio russo, su una rivoltella, su una giacca macchiata di sangue all’altezza del cuore di colui che la indossava. Come già aveva fatto con Puskin e il suo proverbiale bottone, dall’osservazione di oggetti apparentemente trascurabili scaturisce un’indagine capace di mettere a nudo un intero momento storico, in tutta la sua grandiosa complessità.
Sono quasi le undici di un mattino moscovita. È il 14 aprile 1930, e nello studio di Vladimir Majakovskij, il grande poeta, echeggia uno sparo.
A riascoltare quel boato, a immaginare l’odore della cordite che dovette accogliere la Polizia che pochi minuti dopo entrò in quell’appartamento, c’è perfino da stupirsi che qualcuno, all’epoca, se ne sia potuto sorprendere.
“Questa è via Žukovskij?… Questa è via Majakovskij da millenni:/qui si è sparato davanti alla casa della donna amata” aveva scritto lo stesso Vladimir quindici anni prima di passare all’atto.
Si sarebbe potuta chiedere profezia più esatta ad un poeta i cui versi risuonano ancora oggi di una simile potenza oracolare?
Eppure i dubbi rimangono. Fu davvero un suicidio, indotto dall’amore frustrato per una donna che lo rifiutava? Oppure il poeta, irriducibile a ogni retorica di Partito, “fu suicidato” dalla polizia politica?
Come si scoprirà, leggendo l’appassionata e accuratissima indagine di Serena Vitale, certe domande vanno lasciate risuonare più a lungo degli spari che le hanno provocate, perché i silenzi che ad esse fanno seguito possono aiutare a comprendere meglio la Storia.
Attorno ad un “momento fatale”, l’autrice intesse una febbrile elegia per l’anima mercuriale di un grande poeta, veloce e onnivoro nella sua poesia quanto fu irrequieto nel vivere.
Nell’aura delle cose e dei fatti che segnarono quella vicenda umana straordinaria, Serena Vitale addensa l’intero clima di un’epoca terribile, e ce ne restituisce l’implacabile incedere con la passione del narratore e il rigore dello storico.
A cura di Wuz.it
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