L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
una storia prolissa e insensata, senza capo ne coda, piena di descrizioni interminabili (che spaziano dalla topografia di una città al muso di un furgone) e personaggi che definire sagome di cartone è un complimento. libro artificioso e pesante
Soporifero, assolutamente ripetitivo. Inutile. Senza nessun senso: l'inizio è una bella trovata. Solo quello. Per il resto, solo noia e ripetitività assolutamente sterile
Consigliatomi quale capolavoro da un'amica, del libro ho apprezzato l'idea decisamente originale e la forma. Ma di capolavoro neanche l'idea.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Déjà-vu è un libro singolare, almeno per il non sempre ricco di idee panorama italiano. Ma lo stesso può dirsi anche per quello inglese, dato che il suo autore, Tom McCarthy, artista quarantenne, è riuscito a pubblicarlo inizialmente solo in Francia, nel 2005, presso la Metronome Press. Da allora Remainder (questo il titolo originale) è diventato un libro culto (anche in Italia i suoi ammiratori vanno crescendo), ed è stato additato da Zadie Smith come uno dei migliori libri inglesi degli ultimi dieci anni, e come una delle possibili strade per il romanzo contemporaneo.
Intanto perché è un libro pieno di idee originali e di evidenti collegamenti con il mondo dell'arte contemporanea; anzi, è un romanzo che va letto come un'opera concettuale. Non solo perché McCarthy è un artista-scrittore, ma perché il plot di Déjà-vu si fonda su un concetto, quello di re-enactment, preso a prestito dalla rievocazione di eventi storici e passato a designare le modalità di rielaborazione dell'esperienza personale e collettiva (del 2008 è appunto una mostra tenutasi a Berlino, History will repeat itself, centrata sulle possibili declinazioni artistiche del re-enactment). Un modo per riflettere sui meccanismi della memoria, insomma, e per ricostruire la giusta sintassi del presente raggrumandone le tracce (i remainders, appunto) in una rappresentazione che illumini l'oggi di un senso anche parziale e nascosto. Perché è solo dai frammenti che si può ricostruire l'intero, la compiutezza esistente prima del primo disastro, della crepatura primaria.
È precisamente quello che accade al protagonista: reduce da un trauma di cui si ignora la natura (parafrasando Zanzotto), riceve una montagna di soldi per tenere la bocca chiusa e non rivelare a nessuno i particolari dell'incidente. Folgorato dalla forma di una crepa, decide di riprodurla; anzi, di riprodurre in tutti i suoi dettagli, crepe e abitanti un palazzo sconosciuto incastonato nella memoria (Madlyn Mansions si chiama, con riferimento alle madeleine proustiane, benché qui il meccanismo memoriale sia niente affatto involontario). Lì, giorno e notte i suoi dipendenti mettono in scena una routine di azioni (il fegato della vicina che frigge, i gatti che precipitano al suolo, un pianista che suona) che ha un solo scopo: ricostituire una condizione di fluidità tra il protagonista e il mondo esterno, strappare il velo che lo separa da una vita autentica e attingere ancora a uno stato di pienezza esistenziale di cui si ignora tutto tranne la qualità materiale, i dettagli infinitesimali di odori, suoni, sfumature di colori e forme: "È la materia che ci rende vivi: il flusso frammentario, il tessuto cicatriziale, la firma del primissimo disastro del mondo e quella che garantisce il suo ultimo atto". Ecco quindi che la memoria legata al trauma viene replicata e dislocata in decine e decine di microazioni apparentemente prive di senso, ma che per il protagonista vengono ad assumere un'importanza pressoché vitale, fino all'inevitabile disastro finale.
Significativo anche il procedere di McCarthy per accumulo e ripetizione, come a voler smantellare l'edificio del romanzo minandolo con un mucchio di dettagli che rischiano di farlo crollare a ogni istante. A fare di Déjà-vu un ibrido concorre pure questo misterioso io narrante che si accampa al centro della scena e che sembra parlare da una misteriosa terra straniera. Come se fosse "io" solo all'apparenza, ma fosse invece una terza persona incomprensibilmente privata dell'accesso a una soggettività compiuta.
Marilena Renda
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore