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La legge n. 85 del 24 febbraio 2006 ha riformulato i reati previsti e puniti dal Capo I del IV Titolo del II Libro del Codice Penale.
Anche dopo tale riforma, l'opzione del legislatore italiano sembra chiara: l'esperienza religiosa dei consociati merita ancor oggi tutela contro le espressioni di vilipendio, e tale tutela deve essere attuata senza alcuna discriminazione fra confessioni religiose e tra credenti delle diverse confessioni religiose. Tuttavia, i reati in materia di religione non sono di tale gravità da meritare la sanzione detentiva, che è prevista solo in caso di distruzione, imbrattamento o deterioramento di oggetti di culto.
Si tratta di una riforma soddisfacente? Le nuove disposizioni degli artt. 403 - 405 sono compatibili con i principi costituzionali? Da un punto di vista politico-criminale la nuova formulazione dei reati in materia di religione rappresenta una scelta capace di offrire risposte adeguate?
Il volume cerca di mostrare come la novella non cancelli l'incompatibilità di fondo tra i reati in materia di religione così come previsti nel nostro ordinamento e principi costituzionali: incompatibilità derivante dal fatto che dette norme penali sono state originariamente formulate per proteggere la religione in sé piuttosto che il sentimento religioso dei consociati, in ossequio ad un confessionismo che è - e deve essere - totalmente estraneo ai principi/valori su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico.
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