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Il delitto narrato al popolo. Immagini di giustizia e stereotipi di criminalità in età moderna - copertina
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Descrizione


In quindici saggi, la rappresentazione dei crimini nella letteratura popolare europea tra Seicento e Settecento.

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Dettagli

1999
15 giugno 1998
286 p.
9788838914614

Voce della critica


recensioni di Cattaneo, A. L'Indice del 2000, n. 04

"Il delitto, di qualunque natura esso sia, sembra non poter fare a meno da parte sua di trasformarsi comunque in racconto", scrivono Roberto De Romanis e Rosamaria Loretelli nell'introduzione al volume da loro curato, Il delitto narrato al popolo: quindici saggi ben documentati e argomentati, di portata europea nello spaziare dall'Inghilterra puritana del primo Seicento alla Francia di Luigi XIII e Richelieu, dalla Londra di Defoe e dei criminali dell'Opera del mendicante alla Napoli barocca, fino al documentarismo inglese degli anni trenta del Novecento. Il sottotitolo, Immagini di giustizia e stereotipi di criminalità in età moderna, ne definisce il campo d'indagine e la collocazione storica, dove per "età moderna" si deve intendere soprattutto il periodo di genesi del fenomeno indagato.
È tra Sei e Settecento che, in Inghilterra e Francia soprattutto, si forma e codifica una magmatica e vitalissima letteratura sul crimine e sui criminali, la cosiddetta rogue literature: autobiografie e vite di celebri delinquenti costruite per metà su fatti di cronaca, testimonianze, presunte confessioni strappate al condannato a morte sul patibolo, spesso messe in vendita intorno al palco dell'esecuzione, e per metà fittizie. Dalle Vite dei più famosi banditi, raccolte dal Capitano Smith (ovviamente uno pseudonimo) e diffusissime a inizio XVIII secolo, agli eroi ed eroine di Defoe il passo è breve. Più sottile, e meno indagato, il processo di formazione dell'ideologia mercantile coloniale puritana nei trattati e sermoni del primo Seicento attraverso la creazione di un nemico interno, che non è tanto l'indiano d'America ("gli Indiani ce li abbiamo in casa", diceva Sir John Davies, statista elisabettiano) ma chiunque, opponendosi al progetto coloniale, si ponga in opposizione "contro Dio, il Re, la Chiesa, lo Stato".
Una delle considerazioni più interessanti che emergono dalla lettura del libro è che, per la prima volta nella storia, i crimini di cui si propone al pubblico la narrazione sono compiuti da uomini e donne in egual misura: verrebbe fatto di dire che la prima vera parità tra i sessi in Occidente si sia verificata sul piano dell'illegalità, dell'irrequietezza e dell'ascesa sociale. Va da sé che il crimine femminile ha sempre comunque una chiara connotazione sessuale: la prostituzione, sotto svariate forme. Colpa che non sminuisce il fascino delle eroine delittuose, come quella Mary Carlton, meglio conosciuta come la "principessa tedesca", di cui Janet Todd traccia biografia e versioni romanzate, spesso indistinguibili. La Roxana di Defoe, anzi, la prende a modello per la capacità di sfruttare l'avvenenza come una risorsa economica, e di cambiare sfera sociale con disinvoltura assoluta.
Prigione, aula di giustizia e patibolo: sono questi i topoi del crimine narrato. Non del tutto nuovi, ovviamente, ma per questa letteratura popolare e sensazionalistica del tutto centrali. E riconoscibilmente moderni, legati alla stampa intesa sia come giornali sia come incisioni di larga diffusione. Che si tratti del Colonnello Turner - avventure e fama letteraria del quale sono ricostruite da Rosamaria Loretelli -, o dell'"Apprendista indolente giustiziato a Tyburn" - nella nota stampa di Hogarth, oggetto di un saggio di Ian Bell -, tutto converge sul patibolo, vero punto focale delle narrazioni. In Inghilterra ci si arrivava per lo più per delitti contro la proprietà: furti, rapine, truffe. Laddove in Francia per tutto il Cinquecento e oltre, come osserva Sergio Poli trattando delle popolarissime histoires tragiques (cui attinse anche Shakespeare), le esecuzioni narrate al popolo sono rare e in genere riservate a crimini contro il potere monarchico o religioso, o che minino le basi sociali (incesto, parricidio). È chiara - dalla rappresentazione vivida e insistita che essa stessa ne dà sub specie criminali - la fobia e l'attrazione insieme della società inglese della prima rivoluzione industriale per i rapidi e spesso violenti mutamenti che si andavano verificando: di proprietà, status familiare e sociale, assetto politico, aspetto di città e campagna.
Se dovessimo identificare l'elemento distintivo di questa letteratura criminale, andrebbe trovato in un campo narrativo e semantico ben preciso: il trasformismo, il travestimento personale e sociale, l'anonimato e le identità plurime. Gli highwaymen, i banditi o briganti di strada, così come le donne che si costruiscono una fortuna con le sole loro forze, cambiano continuamente d'identità, di mestiere, di città o addirittura nazione (spesso in quelle colonie dove chiunque può spacciarsi per chiunque). Più che la forza bruta, le loro armi sono la frode, il travestimento, la rapidità, la seduzione. In questo, fatto e finzione si danno la mano: non c'è differenza tra il già citato Colonnello Turner e il Colonnello Jack di Defoe, o tra Mal Cutpurse (Tagliaborse) e Moll Flanders o Roxana. Colpa originaria di ciascuno di essi e molla potente all'azione criminale è non già una classica libido, ma una tutta moderna ambizione di mutamento di stato, "l'incapacità" - scrive Roberto De Romanis - "ad accettare la propria condizione di partenza". La perfetta imitazione di apparenze (vestito, modi, linguaggio) e l'acquisizione rapida di denaro sono la via maestra verso la condizione di gentiluomo o gentildonna. E il fascino di questi criminali sul pubblico si spiega non poco con gli sconvolgimenti sociali del tempo, il passaggio di enormi ricchezze dalla terra al commercio e all'industria, la perdita d'identità dei gruppi famigliari, lo spostamento di grandi masse di persone verso le nuove città o Londra, dove l'anonimato regna e la legge è scarsamente applicata.



scheda di Rocci, F. L'Indice del 2000, n. 01

Il racconto, ricostruendolo, rende comprensibile il crimine e, sanzionandolo, ricostituisce l'ordine sociale e divino sconvolti. Di contro, l'intento moralizzatore delle storie finisce talora per essere soppiantato dalla partecipazione popolare per le vicende del delinquente, trasformato in eroe picaresco. Intorno a questi assunti, quindici studiosi esaminano casi avvenuti soprattutto in Inghilterra, con alcune escursioni in Francia e Italia, tra Sei e Settecento (con brevi puntate nel XIX secolo). Sebbene il libro sia frutto dei lavori di un convegno, è ben lungi dall'essere una dotta pubblicazione di Atti, riservata agli specialisti, risultando invece scorrevole e leggibile, oltre che documentato e, a tratti, innovativo. Risente invece delle sue origini nell'estrema eterogeneità dei temi che tocca, presentando una serie di brevi analisi su singoli aspetti specifici, ricche di spunti, ma naturalmente lontane dal trasformarsi in un'organica trattazione unitaria: si va dalle gazzette alle "buone morti", dalle avvelenatrici ai quadri di Hogart (con tratti addirittura sorprendenti, come il contributo, interessante, ma decisamente eccentrico rispetto al tema, sull'espansionismo coloniale). Al di là di questo ostacolo, la lettura è interessante. I testi sono analizzati, più che dal punto di vista letterario, da quello sociale, con particolare attenzione alla storia dei rapporti tra crimine, norma e punizioni esemplari, intenti didascalici, ricezione popolare e immaginario collettivo di paure spesso indotte ma certamente radicate.

(F.R.)

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La recensione di IBS

«Se è pulsione specifica della scrittura letteraria quella di confrontarsi con statuti e norme che pretenderebbero di regolare ogni suo atto istitutivo, per infrangersi inevitabilmente contro quelle leggi e per ogni volta infrangerle, il delitto, di qualunque natura esso sia, sembra non poter fare a meno da parte sua di trasformarsi comunque in un racconto. Anzi: forse non potrebbe neppure essere compreso, né quindi giudicato, se non fosse posto in termini di narrazione. Sono queste narrazioni - per come il passato le modellava - che interessano noi qui, storie scellerate che costituirono quell'enciclopedia del crimine e della legge mediante la quale ancora oggi interpretiamo (almeno parzialmente) le cronache a noi contemporanee; storie che non avrebbero poi avuto la risonanza che ebbero, non avrebbero generato a loro volta altri racconti delittuosi mischiando impunemente fatti e finzione, reale e romanzesco, se per secoli non fossero state veicolate dalla parola scritta, tramandandosi così fino a noi».

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