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Il “reazionario” Charles Maurras fu un inconsapevole “rivoluzionario”? È questa la domanda che mi sono posto durante la lettura di questo saggio su una delle figure più controverse del '900. L’autore del libro inizia con una interessante descrizione delle varie “anime” della Destra francese (Legittimista, Orleanista, Bonapartista, Nazionalista) e dopo offre una visione d'insieme di questo pensatore le cui idee non sono certo facili da descrivere, soprattutto vista la sua scelta - a mio avviso contraddittoria - di sostenere un governo intrinsecamente rivoluzionario come quello repubblicano e collaborazionista di Vichy. Questa scelta, tra l’altro, ha profondamente segnato negativamente la sua immagine e la sua vita, fino a relegarlo tra quegli intellettuali “imperdonabili” e “maledetti” che sono stati condannati all’oblio dalle loro stesse idee. Dico che la sua fu una scelta contradditoria, perché, nonostante egli si ispirasse, tra gli altri, anche a Joseph de Maistre e che da alcuni sia ritenuto un “reazionario”, il suo sostegno alla Francia di Vichy mi ha fatto capire quanto sia facile per un nazionalista francese (e non solo) ritrovarsi inconsapevolmente "rivoluzionario": tanto sottile è il confine che separa le due visioni dello Stato. C’è anche da aggiungere che, in questo saggio, l’atteggiamento contradditorio di Maurras viene evidenziato anche dalla descrizione della sua simpatia per il “Risorgimento” italiano che fu una vera e propria Rivoluzione, liberale e anticattolica, in un certo senso, erede di quella del 1789 che Maurras tanto detestava! Ma l’autore del libro, forse preso dalla propria ammirazione per il nostro Risorgimento, si spinge ancora oltre: probabilmente esagerando, paragona il pensiero maurrassiano a quello di Alessandro Manzoni (si veda pag. 124-125). Ritengo che da questo saggio emerga un Maurras certamente NON “controrivoluzionario”, in quanto stregato dalla Destra “nazionalista” che non è altro che un altro volto della Rivoluzione.
Recensioni
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L'analisi che Domenico Fisichella imbastisce su questo insieme di concezioni è ben congegnata. Presenta Maurras come l'elaboratore di una dottrina del nazionalismo in grado di far ripartire la destra francese antidemocratica dalle ceneri del legittimismo dell'orleanismo e del bonapartismo; ne ricostruisce quindi con eleganza e vivacità la visione riferendosi al tardo Mes idées politiques e ad alcuni altri testi assemblati da Maurras con gli stralci più significativi dei propri articoli.
Non vengono tuttavia posti in rilievo taluni limiti del pensatore di Martigues: il mancato aggiornarsi in rapporto all'evoluzione sociale; l'isolamento del suo gruppo nell'estrema destra; le contraddizioni dell'Action Française (la competizione elettorale nel '19 e nel '24 o Léon Daudet che sermoneggia in parlamento mentre il suo quotidiano rovescia quintali d'ingiurie sulla Repubblica). Né si mettono in discussione alcune posizioni molto deboli di Maurras come l'idea che il potere del denaro possa gravare solo su un ordinamento repubblicano non sulla monarchia; che un re sarebbe motivato a far felici i cittadini perché rischia l'onta e l'esilio (ciò ha quasi sempre spinto i monarchi a essere più autoritari); che la Repubblica si giustificherebbe solo per il suo compito storico di eleggere "i migliori" (laddove si tratta solo dei più numericamente rappresentativi).
Ma altre crepe s'incontrano fra le pieghe di un sistema dottrinale solo in apparenza granitico. Al pari di altri conservatori o reazionari Maurras domanda alla politica di riflettere la realtà non di modificarla. Ora Fisichella scandaglia i rapporti di Maurras da un lato con Barrès dall'altro con i suoi maestri (da De Maistre a Comte); e propone anche un provocatorio "slalom" fra Rousseau e Maurras alla ricerca di possibili consonanze. Mentre però il primo conscio della disuguaglianza fra gli esseri umani e di quelle che sono le difficoltà della democrazia intende trasformare la comunità tramite la politica per un'estensione dei diritti e delle possibilità Maurras individua nella stessa politica lo strumento atto a preservare l'ordine civile nella sua necessaria somiglianza con gli assetti naturali; il limite della democrazia sta per lui nell'essere un'idea e non un fatto e la politica non può configurarsi come il tendere verso un'idea: politique naturelle anzitutto. Ma per reggere un simile sistema occorrono vicino al re dei comprimari. Nel giudizio di Fisichella quella maurrasiana è una monarchia antiparlamentare ma "rappresentativa".
Sennonché Maurras – il cui imbarazzo di antidemocratico verso l'ormai affermato diritto di voto è finemente colto dallo studioso – discorre di un "suffrage consultatif". In base a esso agli eletti spetterà sì la rappresentanza dei cittadini agendo peraltro come semplici consiglieri del re. Ma le associazioni sorte dal basso non si troveranno forse sotto la costante minaccia di sanzioni decise dall'alto? Da qui nasce anche quella che Fisichella elogia come la "preoccupazione sociale" del legittimismo inevitabile e perfino strategica nel momento in cui il monarca impedisce il costituirsi di liberi partiti o sindacati. Si può senz'altro dire che nonostante la marcata empatia di fondo e la vaghezza dei richiami al virulento antisemitismo di Maurras (che vedeva negli ebrei gli "ennemis du genre humain") questo saggio colmi una lacuna degli studi politici italiani.
Vuole però altresì porsi come una riflessione sull'oggi. Contestualmente a tale intento in più occasioni Fisichella pur critico su alcuni aspetti delle dottrine passate al vaglio cerca di dimostrarne la complessiva fondatezza e lungimiranza: trattando di chiesa cattolica paventa l'attuale rischio di nuovi estremismi e deplora la tendenza deista del cristianesimo; richiamando il biologismo di Maurras attacca la "temperie scientista" dominante; da ultimo nel definire quello di Maurras un "autoritarismo attenuato di regime autoritario ma non dittatoriale retto a monarchia temperata" si chiede se questa soluzione potrebbe arginare la deriva oligarchica ed economicistica della democrazia repubblicana in Europa.
Daniele Rocca
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