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Scivolando maldestramente dal registro sentimental-bucolico tipo memoir dal tono patetico, a quello docu/giornalistico/saggistico/ storico-politico scolasticamente ficcato dentro alla narrazione alla bell'e meglio creando un evidente scollamento, diciamo che Pahor si è rivelato, letterariamente parlando, una sostanziale delusione. L'evidente livello sub-letterario della scrittura, zavorrata da dialoghi interminabili e noiosi, mi impone di definire più che mediocre la qualità del romanzo in senso generale, mentre la storia in sé - la complicata situazione della minoranza slovena nella Trieste del secondo dopoguerra raccontata dal punto di vista dello sloveno Radko - è molto interessante sebbene qui non sia, neppure quella, trattata granché bene. "Hanno spezzato in due la città. Come la Palestina. Noi, i cittadini di Trieste, dovremmo considerarci come ebrei e arabi. Una città divisa a metà". Si apre, allora, un evidente dilemma: 'Dentro il labirinto' di Boris Pahor, è un buon libro scritto male?, un innesto mal riuscito?... Ho riscontrato un po' l'effetto avuto con 'Vita e destino' di Vasilij Grossman, la cui importanza storica, anche lì, ha prevalso su quella letteraria. Nonostante il fastidio per la pochezza dello stile e della costruzione del romanzo, ho tenuto duro per più di seicento pagine per puro interesse storico. A volte me lo impongo, ed è stato comunque utile, per lo meno come introduzione all'argomento che però, senza forse, è meglio approfondire chiedendo lumi a qualcun altro; un nome a caso: Claudio Magris.
La minoranza slovena nella Trieste dell'immediato dopoguerra, un argomento minore forse, non troppo attraente forse, ma il respiro del romanzo è della grande letteratura mitteleuropea. Potrebbe essere Kafka, per certi aspetti ricorda Italo Svevo, per altri l'immenso Thomas Mann in quanto il sanatorio dove il protagonista incontra Arlette richiama subito alla mente "La montagna incantata". La scrittura è ricca e fine al tempo stesso e la maestria dello scrittore ci accompagna veramente nel labirinto che deve essere stata Trieste contesa tra i due blocchi, quando ogni passo ed ogni opinione sembrava una mossa su di una scacchiera mondiale, quando anche ritornare dai campi di concentramento non significava necessariamente ritrovare la serenità del proprio posto. Le 600 e passa pagine del libro hanno preteso il suo tempo per essere smaltite, ma ogni volta era un piacevole e leggero appuntamento. La personale sensazione durante ed al termine della lettura è stata quella di un vero e proprio arricchimento.
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