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recensione di Nadotti, A., L'Indice 1995, n. 5
"Mia cara, eccomi. Finalmente riprendo la parola". È una lunga lettera d'amore questo primo romanzo di Pina Mandolfo, lucida e appassionata dichiarazione d'amore per un'altra donna, forse la prima così esplicita della nostra letteratura fuori da un contesto politico lesbico. E poiché "non c'è più storia adesso", Pina Mandolfo la trasforma in racconto, non per mettere distanza tra sé e la donna che ha amato, bensì per ritrovare scrivendo la grande gioia che è stata, per sollevare lo schermo che il dolore della perdita aveva eretto tra lei e l'altra, e tra sé e sé. Un grande schermo che, sollevandosi a poco a poco come nei vecchi cinema, si piega in quarto, in ottavo, in pagine su cui non scorrono immagini ma parole fitte e incalzanti, non rancorose, dove la mente "incontra significati mai conosciuti" lasciando che i ricordi si incrocino, si sovrappongano. Memoria non cancellabile. E qui l'autrice fa un'operazione insolita nella recente produzione letteraria delle donne, almeno nel nostro paese. Non ripercorre una storia familiare per arrivare a spiegare i sentimenti dell'oggi, al contrario, femministicamente - se ancora è concesso usare questo avverbio - parte da sé per ritrovare anche in antichi abbandoni e trascuratezze ragioni e modi del proprio sentire. Non per deduzione, dunque, ma per induzione, com'è stato in anni recenti per almeno due generazioni di donne. Non riattraversamento guardingo di luoghi che hanno già sentito il rumore di passi ancestrali e materni, ma scoperta di luoghi propri che alludono per diversità a un possibile ricongiungimento.
Pina Mandolfo è siciliana e trova nei colori dell'isola alimento essenziale, eppure cerca - e ama - anche il grigio infreddolito del nord. Non è amore d'assenza, il suo, n‚ gusto del paradosso o ironia gattopardesca, piuttosto desiderio, nostalgia isolana per il "continente" - continente che è penisola allungata e protesa verso la sua isola estrema.
"Perché le registe australiane sono più brave delle italiane?" si chiede a un certo punto l'autrice, e non è questione peregrina nel mezzo di una lettera d'amore. Sebbene non si avventuri sul terreno di una risposta, lei che pure si occupa di cinema, tuttavia tra le righe del suo racconto d'amore, di incontri spostamenti, fughe, ne suggerisce una, che voglio esplicitare, perché mi pare narrativamente ed esistenzialmente preziosa. Forse le registe australiane sono più brave perché, avendo ricevuto in eredità dagli antenati il nomadismo, non l'hanno rifiutato ma hanno saputo farne una casa della mente.
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