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Il destino del tossicomane - Claude Olievenstein - copertina
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Il destino del tossicomane - Claude Olievenstein - copertina
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Dettagli

1984
1 gennaio 1984
208 p.
9788826302874

Voce della critica


recensione di Ferraris, C., L'Indice 1984, n. 1

È raro trovare un'opera che dia una descrizione, se non esaustiva, almeno indicativa della personalità del tossicomane, di quali siano le relazioni con l'immagine materna e paterna, quali le relazioni con quello che gli psicanalisti chiamano "oggetto interno". Di come, almeno indicativamente, si possa dire che, date quelle costanti di personalità, ci si può trovare di fronte ad un tossicodipendente, oppure che, dato un soggetto tossicodipendente, ci si trova di fronte a determinate strutture della personalità. In altre parole è raro trovare una descrizione della "clinica" del tossicomane; e con tale termine, usato secondo le più pure tradizioni della medicina, si usa intendere lo specifico "patologico" di un organo oppure di uno specifico sistema di cura ("clinica oculistica" = tutta la patologia dell'occhio: "clinica medica" = tutte le affezioni curabili con solo medicine).
È questo, a mio avviso, il maggior pregio dell'opera di Olievenstein. Infatti è la prima volta che viene fatto il tentativo di definire i parametri clinici del tossicodipendente, senza dover ricorrere alle classiche analogie psichiatriche. Si può ben dire che per la prima volta il tossicodipendente non è definito come lo psicotico, per quel determinato tratto della personalità, oppure come un'ossessivo per quell'altro, come un isterico od un perverso, per quel determinato atteggiamento che si osserva con una costanza sospetta. Un simile riduttivismo, a mio avviso, oltre a denunciare l'inconsistenza di talune descrizioni che vorrebbero essere oggettive, denunciano il disagio di certi ricercatori che, non avendo la possibilità di avere una chiara idea della clinica specifica, tentano di ridurla ad un quadro psicopatologico più familiare, vuoi nevrosi, psicosi o perversione che sia. Errore metodologico questo in cui tutti coloro che si sono interessati del problema una volta o l'altra sono incorsi: è proprio il caso di dire: "chi è senza (questo) peccato scagli la prima pietra". Ben diverso è l'atteggiamento di Olievenstein che, già dalle prime pagine di questa sua opera, con estrema umiltà ma con una chiarezza esemplare, ci insegna a non commettere un simile peccato. Umiltà che deriva, come la sua esperienza clinica, dai più di ventimila casi osservati dai tredici anni di vita della Comunità di Marmottan, e dalla convinzione che, nonostante tanta osservazione, non si è ancora detta la parola fine al problema. E questo lo si sente dalle prime righe, da come descrive il percorso del suo testo: "sarebbe una contraddizione", ci ricorda, "cercare un modo stabilizzato e strutturato per esprimere la perturbazione e l'instabilità, concentrate solo in intervalli di instabile equilibrio".
Già nel primo capitolo, il cui significativo titolo è "Protocollo", l'a. descrive le difficoltà da lui incontrate e le ragioni che l 'hanno portato a dover inventare la clinica dei tossicodipendenti, delle difficoltà e dei trabocchetti che s'incontrano in una simile operazione. Un esempio per tutti. In qualunque stato patologico, per quanto difficile sia l'assemblaggio dei sintomi per giungere alla diagnosi, i criteri di spazio e di tempo sono di per sé determinati: per esempio, in una qualche affezione il dolore viene prima della febbre, in una qualche altra il pallore dopo lo svenimento, e così via. Anche in reperti più "oggettivi", quali il valore della pressione arteriosa, o quello della glicemia, sono rapportabili, spazio - temporalmente secondo la logica clinica, ai sintomi presentati dal soggetto in esame.
Non così, invece, o meglio non sempre così, nel caso della tossicodipendenza ove il sintomo che il paziente presenta non è quasi mai automaticamente rapportabile alla sua condizione di tossicodipendente. Come scrive Olievenstein, citando Michel Serres (pag. 10) "Il reale si nasconde tra i possibili, i possibili si nascondono sotto il reale". L'arte del clinico sarà allora pienamente espressa solo quando potrà dirimere il dubbio che un determinato fatto clinico ricada sotto la "legge reale" o sotto la "legge immaginaria". Solo dopo aver risolto questo dubbio potrà essere impostata una efficace terapia del caso.
A questo punto ovviamente si pone la domanda del "cosa fare" per i tossicodipendenti. Il libro di Olievenstein non dà ricette; anzi da tutta la sua opera traspare la sua convinzione che non esiste "una" terapia. L'aiuto che si può dare al tossicodipendente è la continua e costante comprensione del suo caso; perché ogni soggetto è unico ed esclusivo e rapportabile ad altri analoghi solo in una definizione teorica. Ma c'è da chiedersi: esiste veramente una soluzione definitiva alla tossicodipendenza? C'è veramente la possibilità di eliminare la sofferenza del soggetto tossicodipendente? Io credo, con Olievenstein, che questo sarà possibile solo dopo che il soggetto si sarà reso consapevole che l'uso della droga non è la fuga nel nulla, nell' "anenke", nel fantastico universo dell'assenza di ogni angoscia, di ogni senso di mancanza, ma la ricerca inconsapevole di negare la perdita della fusione totale con una figura materna ideale.
Si potrebbe così dire che prima di dare assuefazione, la droga dà un'illusione": l'illusione di poter rientrare in quell'utero dal quale il tossicodipendente si era sentito escludere all'atto della nascita. Con la sensazione che offre il buco, il flash, si torna alla fusione totale, all'unità con la figura materna che non è annullamento dell 'Io, ma riconquista di qualcosa di precedentemente perduto.
Nel sostenere questa tesi, Olievenstein riprende il mito dell'androginia; cioè, il mito della coesistenza, nello stesso essere, dei caratteri maschili con quelli femminili. L'androgino, in tutte le culture in cui compare, rappresenta un profondo desiderio di unità e di completezza: non a caso le antiche statue a lui dedicate , rappresentavano la saggezza e la virtù. Anche Freud, avvicinandosi in questo a Platone, avanza l'ipotesi che la precedente unità perduta viene pallidamente ritrovata nella spinta delle tendenze sessuali. Ma vi è nostalgia: la relazione d'amore, l'unione dei sessi tende a ripristinare la perduta unità. La tanto decantata complementarietà è solo un vago, temporaneo e, il più delle volte anche insoddisfacente, tentativo di ritrovare il perduto. Il sesso non è, dunque, solo il tentativo di un'urgenza narcisistica all'unità, ma anche una necessità vitale di trovare una via d'uscita al sempre attivo e angosciante senso di mancanza.
Orbene, il tossicomane, per le ragioni che Olievenstein così convincentemente descrive nel capitolo "L'Infanzia del tossicomane ", non ha potuto costituirsi una solida struttura psichica, ma possiede un patrimonio emotivo dominato da un'evoluzione psichica dell'identità, e la successione delle costruzioni che consentono di rinforzare l'identità, di così incerta natura che non può sentire pienamente di appartenere, dal punto di vista emotivo, all'uno od all'altro sesso con la conseguente angoscia terrifica, del non sentirsi contenuto o legato n‚ dall'uno, n‚ dall'altro - n‚ dall'uno, n‚ dall'altro genitore.
Così, per il nostro autore, si osserva questa stretta correlazione tra tossicodipendenza ed atteggiamenti androgini.
Da tutto questo deriva la spiegazione dell'atteggiamento ossessivo che hanno i tossicodipendenti - già più o meno stabilizzati - nei confronti della droga; atteggiamento che appare, nel suo aspetto esteriore, simile alla ricerca del sesso. Sia nell'una che nell'altra esperienza vi sarà la ricerca dell'altro se stesso: "donde l'aspetto volontaristico che contraddistinguerà il procedere del tossicomane... verso la ricerca, nello specchio, di una doppia identità, di alcuni ritrovamenti reperibili più o meno attivamente in una copresenza bisessuale". Questa co-presenza dovrebbe avere la funzione di neutralizzare la separazione delle parti. Ma questa "sarà contemporaneamente fruttuosa, consentirà di intra-percepire, e frustrante, perché non può incorporare veramente se non una costruzione dell'immaginario".
Insomma, tutto il testo si snoda sui tre binari indicati da Lacan: l'immaginario, il simbolico, il reale. Tutta la comprensione che Olievenstein ha del problema, e che deriva da alcuni lustri di attività sul campo, è stato trasfuso in queste circa duecento pagine. Essa "si articola sull'ascolto della sofferenza e della volontà di trasgressione del tossicomane e pone il problema di una clinica in movimento: una clinica che respiri e viva, che vada dal particolare, il tossicomane, al globale del fenomeno, la tossicodipendenza e la sua espansione " come in modo così completo dice nella sua avvertenza all'inizio del volume, la sua curatrice.

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