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Le bellezze della matematica, per un insegnante di questa materia, sono contenute tutte in questo bel romanzo che tutti i docenti dovrebbero leggere per comprendere quei meccanismi vocazionali che nessun trattato di didattica potrà comunicare se veramente si vuole insegnare ai ragazzi. Ma tutte le pagine sono impreziosite da indizi a prima vista estranei ma che alla fine si rocollegano come in un teorema all'ultima scena. La scrittura è sapiente, colta ma allo stesso tempo riposante pur nelle perfezioni sintattiche assai rare nella letteratura contemporanea italiana. Alla fine il senso del destino, che l'autore paragona al "farsi e disfarsi" delle nuvole ne esce intatto nella misteriosità e nella impossibilità di ogni definizione ma queste 115 pagine lasciano il piacere che l'osservazione delle nuvole può dare, senza che per questo si riesca a capire il perchè.
Si tratta di un romanzo breve, ma denso di suggestioni, a partire dal titolo, in cui le nuvole, nel loro effimero addensarsi e sfaldarsi, poeticamente si prestano a correlativo oggettivo degli umani destini. La vicenda è, se si vuole, un viaggio di ritorno, quello di Fulvio, in luoghi che lo hanno già conosciuto bambino, quando per motivi a lui sfuggenti era stato allontanato dalla famiglia ed esiliato nella Casa scuola di un paesino del livornese, e che inevitabilmente si rianimano di ricordi, illuminati da nuove connotazioni al suo mutato sguardo, non ultimo quello rivolto alla quadreria di ex voto del Santuario di Montenero. E proprio della prospettiva visiva di questo singolare matematico viene fatto partecipe il lettore, almeno per buona parte del testo, trascinato tra sentimenti, impressioni, cautele, aperture critiche e digressioni filosofiche da un prosa complessa, dal guizzo barocco nella pretesa mimesi di una realtà mai compresa e in costante mutamento. Il digrediente periodare può risultare pertanto un po' affannante, sebbene tradisca cultura e un aforistico e paradossale gusto per l’ironia, affiancati dall’inquietudine per la ricerca e dal pungolo del dubbio. Serpeggia nella narrazione l’atteggiamento del sofista, la cui vera forza è la domanda, di chi si accosta al reale non per risolverlo, ma per interpellarlo, offrendo interrogativi e responsabilità di senso al lettore, nella consapevolezza che certe incognite non sono appurabili come in un’equazione.
Associando episodi assai lontani nel tempo ma che si ricollegano per medesimi attori e luoghi (i suggestivi ricordi e sentimenti adolescenziali di un soggiorno nella casa-Scuola di Antignano, "sorvegliata" dal Santuario di Montenero, e il disincanto del protagonista, Fulvio, adulto detenuto nel seducente monfo dei numeri), Paolo Codazzi congiunge e sconnette il divenire di alcuni destini comparandolo al "moto inesausto (...)delle nuvole nella loro instancabile vitalità che, se forzata al riposo nell'immagine compiuta di un fotogramma, ce le mostra coerenti e rassegnate al paesaggio su cui incombono". Il racconto sorprende il lettore ad ogni pagina orientandolo verso esiti smentiti dalla pagina successiva (fino all'atto finale, nel quale si potrà persino immaginare un destino sottomesso alle credenze che in ognuno hanno diritto di coscienza)anche grazie a una scrittura che affabula, scortando il lettore in spazi abbandonati dalle calligrafie del nostro tempo, con una sintassi che partorisce e sorregge la storia, eludendo gli ammiccamenti di cui le cronache sono tragiche testimonianze di realta.
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