Non si esce con facilità dalla lettura di questo romanzo dello scrittore olandese (1962) Gerbrand Bakker. Non se ne abbandonano i personaggi. Si torna a loro più e più volte con la mente, a libro chiuso, al loro male di vivere, straziante e mai esibito. Anzi, sostanzialmente non detto. Tanto che il lettore deve carpirne gradualmente le ragioni. Come un sogno che ti si rivela a fatica e poi illumina un pezzo di verità. Una donna intorno ai quarant'anni, Agnes, lascia il suo lavoro di docente all'università e il marito ad Amsterdam, e fugge, senza lasciare traccia di sé. Si rifugia in una casa di campagna presa in affitto vicino a uno sperduto paese del Galles del nord. Imprime una deviazione alla sua vita, imboccando bruscamente una strada altra. Scegliendo la solitudine in un luogo abitato solo da una quantità di animali: dieci oche, in particolare, vere presenze enigmatiche lungo tutto il romanzo, capaci di agire una estrema efferatezza come di essere difesa, scudo. Un giovane ragazzo, Bradwen, capita lì con il suo cane e non se ne allontana. Sceglie di rimanere per accudire la donna, cucinare per lei, andare a fare la spesa, svolgere i lavori più faticosi, senza nulla chiedere in cambio. Un incontro tra creature che si riconoscono e omettono le manifestazioni esteriori dell'amore. Il ragazzo evidentemente intuisce una ferita nella donna ma, di fronte alla sua reticenza, non domanda, la accoglie, anche quando fuma troppo o prende troppi antidolorifici. E c'è, in parallelo, la storia del marito di Agnes, Rutger, che si mette sulle tracce della moglie. Il loro matrimonio traballa, non hanno avuto figli, hanno fatto un test di fertilità: proprio grazie a quel referto, quando Agnes è già via, l'uomo scopre che lei è ammalata. Forse soprattutto per questo cerca di rintracciarla, aiutato da un agente di polizia gay, con il quale durante il viaggio verso l'Inghilterra stabilisce un forte feeling. Lui, dice al poliziotto, ha avuto un'altra donna, lei gli ha confessato una storia con "uno studente del primo anno". Le solite crepe all'interno dell'alleanza matrimoniale attraverso le quali la rovina, come un fiume che strappa gli argini, non tarda a dilagare: è il racconto di una ritirata, dal proprio paesaggio interiore, dai doveri familiari, da tutti i legami. Agnes ha chiuso la relazione con lo studente e il suo corpo ha cominciato a corrompersi, ora ha paura che emani un odore di vecchia. La scrittura, spezzata, ellittica, evocativa, si incolla ai pensieri di Agnes e il lettore è trascinato nel labirinto del suo delirio. È una cartolina in cui il marito, che è riuscito a saperne l'indirizzo, le annuncia il suo arrivo, a far precipitare gli eventi. Un finis vitae preparato tuttavia con cura, senza trascurare l'incontro, in extremis, con il corpo di Bradwen. Durante il breve tempo di questo ultimo amore invernale (la vicenda si dipana lungo i mesi di novembre e dicembre) la donna chiede ripetutamente al ragazzo di andare via, di allontanarsi, una buona volta, ma seguita ad accettare la sua ostinata presenza. È l'elemento che più lega il lettore alla pagina: chi non si riconosce in questa lacerante ambivalenza tra il desiderio di totale autonomia, di solitudine, e il bisogno imprescindibile della condivisione affettiva, della relazione? Così le quattro oche (tante ne sono rimaste, scampate alla volpe) che fanno la guardia alle spoglie di Agnes commuovono il lettore. Non lo fanno uscire dalla storia. CARLA AMMANNATI
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